III.
-I miei ricordi sono molto confusi. Dubito persino dove comincino, perché a volte ho la sensazione che alle mie spalle si snodi una teoria d'anni mostruosa, mentre, in altre occasioni, mi sembra che il presente sia un punto isolato in una grigia e informe infinità. Non sono neppure sicuro del modo in cui sto comunicando questo messaggio. Sono cosciente del fatto che sto parlando, ma ho la vaga impressione che per sopportare il carico delle mie parole e farle giungere dove voglio, sia necessaria una strana e forse tremenda mediazione. Anche la mia identità è incerta in modo sorprendente. A quanto pare ho sofferto uno shock violento, forse la mostruosa conseguenza di uno dei miei cicli d'esperienze incredibili e straordinarie.
Esperienze che, naturalmente, hanno tutte origine in quel libro divorato dai parassiti. Ricordo quando lo trovai, in un posto fiocamente illuminato presso il fiume nero e oleoso dove sempre turbina la nebbia. Era un luogo molto antico, e gli scaffali pieni di volumi incartapecoriti che arrivavano fino al soffitto si succedevano all'infinito in una teoria di alcove e stanze interne senza finestre. Inoltre, sul pavimento e in certi rozzi contenitori c'erano informi mucchi di libri: proprio in uno di quei mucchi trovai il mio. Non ne ho mai conosciuto il titolo, perché mancavano le prime pagine, ma cadendo si aprì verso la fine e mi permise di dare un'occhiata a qualcosa che fece vacillare i miei sensi.
Era una formula, o meglio un elenco di cose da dire e da fare, che riconobbi come sacrilega e proibita; qualcosa di cui avevo già letto in passato nelle pagine furtive e colme d'orrore - misto a fascinazione - di alcuni dei misteriosi e antichi esploratori dei segreti meglio custoditi dell'universo, nei cui tomi sgretolati amavo sprofondarmi. Era una chiave, una guida verso determinate porte e determinate transizioni di cui gli occultisti hanno sognato e sussurrato fin dagli albori della specie, e che avrebbero permesso di giungere all'affrancamento dalle tre dimensioni della vita e della materia che noi conosciamo, scoprendo la realtà oltre di esse. Da secoli nessun uomo ricordava più il segreto essenziale di quel processo né sapeva dove trovare il libro, che era molto antico. Non era stampato, ma ricopiato a mano da un monaco semi-impazzito che aveva trascritto le sinistre formule in latino in un corsivo di spaventosa antichità.
Ricordo il ghigno del vecchio e il suo risolino: e quando portai via il libro fece un segno misterioso. Aveva rifiutato di farselo pagare, e solo molto tempo dopo capii il perché. Mentre mi affrettavo a casa attraverso le stradine tortuose e soffocate dalla nebbia del porto, ebbi la spaventosa impressione di essere cautamente seguito da qualcuno che aveva il passo morbido e vellutato. Le case vacillanti e vecchie di secoli su entrambi i lati della strada parevano animate da una nuova e tremenda malvagità, come se un canale fino a quel momento chiuso si fosse aperto all'improvviso, con- sentendo la comprensione del male. Avevo l'impressione che le pareti delle case e, più in alto, gli abbaini di mattoni sgretolati, intonaco e legno ammuffiti, e le finestre a piccoli rettangoli che ghignavano come occhi furtivi, non potessero fare a meno di avanzare verso di me e schiacciarmi... Eppure, prima di chiudere il libro e portarmelo via, avevo letto solo un frammento della sacrilega formulazione.
Ricordo che alla fine lessi il volume da cima a fondo, pallidissimo e chiuso a chiave nella mansarda che da tanto tempo avevo dedicato alle ricerche misteriose. La grande casa era silenziosa, perché mi ero ritirato dopo la mezzanotte. Penso di aver avuto famiglia, a quell'epoca, ma i particolari sono incerti; so che c'erano molti servi. Non posso dire che anno fosse, perché da allora in poi ho conosciuto molte epoche e molte dimensioni, e la mia nozione del tempo si è dissolta e ha dovuto essere riformulata. Leggevo a lume di candela (ricordo l'incessante sgocciolìo della cera) e ogni tanto si sentivano battere le ore in qualche campanile lontano. Seguivo con molta attenzione il suono delle campane, come se temessi di sentire all'improvviso una nota più lontana e sinistra.
Poi cominciai a sentire qualcosa che grattava e picchiava alla finestra della mansarda, che s'apriva alta sui tetti della città. Avvenne mentre intonavo ad alta voce il nono verso della prima strofa, e con un brivido capii di cosa si trattava: colui che oltrepassa una soglia ottiene la compagnia di u- n'ombra e non potrà mai più essere solo. Avevo compiuto l'evocazione, e il libro non era l'unica cosa che mi avrebbe risposto. Quella notte oltrepassai la soglia di un vortice temporale distorto, e anche la mia vista cambiò; quando nella mansarda spuntò il mattino vidi alle pareti, negli scaffali e nelle alcove ciò che non avevo mai visto prima.
Da allora in poi non potei più vedere il mondo come lo conoscevo. Me- scolato alla scena del presente c'era sempre un po' di passato e un po' di fu- turo, e gli oggetti un tempo familiari sembravano estranei nella nuova prospettiva di una vista più ampia. Mi muovevo in un fantastico sogno di forme sconosciute o semi-conosciute; e ogni volta che superavo una nuova soglia era meno facile riconoscere gli oggetti della sfera ristretta alla quale ero stato per tanto tempo incatenato. Ciò che vedevo intorno a me non l'ha mai veduto nessuno; mi feci ancora più altero e silenzioso, perché non pensassero che fossi pazzo. I cani mi temevano, perché fiutavano l'ombra estranea che non lasciava mai il mio fianco; leggevo ancora molto, in libri occulti o dimenticati e in pergamene cui la mia nuova vista consentiva l'accesso; oltrepassavo sempre nuove soglie dello spazio, dell'essere e della vita, verso il centro del cosmo ignoto.
Ricordo la notte in cui preparai sul pavimento i cinque cerchi concentrici di fuoco e rimasi in quello centrale, cantando la mostruosa litania rivelata da un messaggero della terra dei tartari. Le pareti si dissolsero e un vento nero mi trascinò in abissi grigi, senza fondo, mentre a diversi chilometri sotto di me apparivano le guglie simili ad aghi di montagne sconosciute. Dopo un po' ci fu il buio completo e poi la luce di migliaia di stelle disposte in costellazioni straordinarie, estranee. Alla fine sotto di me apparve una pianura immersa in una luce verde, e su di essa vidi le torri contorte di una città costruita come nessuno mai ha visto, letto e neppure sognato. Mentre mi avvicinavo alla città, fluttuando, vidi un grande edificio squadrato, di pietra, in mezzo a uno spazio aperto; un'orribile paura s'impadronì di me. Urlai e cercai di lottare, e dopo aver perso i sensi per un certo intervallo mi ritrovai nella mansarda, steso in mezzo ai cinque cerchi fosforescenti tracciati sul pavimento. Nel viaggio di quella notte non avvennero cose più strane di altri viaggi in altre notti, ma il terrore fu maggiore perché sapevo di essere più vicino agli abissi e ai mondi esterni di quanto fossi mai stato prima. In seguito fui più cauto coi miei incantesimi, perché non volevo essere strappato al mio corpo e dalla terra, ed essere scagliato in abissi sconosciuti da cui non avrei più potuto fare ritorno.-
La stanza era strana e abbastanza buia. Un odore di muffa e tarme, e polvere pesante era ovunque… Pestilenziale quasi… Ma anche rilassante. Era il classico odore delle vecchie biblioteche andate in disuso dopo l’avvento della guerra… Perché poi era questo il motivo principale. C’era ben altro a cui pensare e nessuno voleva soffermarsi ormai più sulla lettura. La cultura era così diventata un vezzo per gente ricca… Mercanti, Generali in pensione, nobiltà decaduta… Borghesi viaggiatori e pazzi sognatori. Quei pochi che ancora osavano leggere, che non fossero ovviamente giornali partitici di ingegneria e meccanica, erano malvisti. Venivano emarginati… Folkizzati quasi… E per questo erano perfetti alleati per i Folk. Ovviamente nessuno avrebbe mai sospettato dei Bibliotecari… Figurarsi...
Erano creature strane… Silenziose e taciturne. Abituati a vivere tra le ombre delle loro biblioteche, contornati solo da sporadiche candele ad olio di Lino, col passare degli anni avevano adattato il loro corpo all’ambiente in cui si erano calati. Le loro schiene erano ricurve, i corpi sottili ed alti, braccia lunghissime e gambe corte… Quasi quanto la distanza tra bacino e ginocchio. I loro capelli avevano colorazioni alquanto singolari e tra la gente erano facilmente riconoscibili anche per questo.
Le loro chiome quasi sempre lunghissime e con tagli strani alle volte, come dred o trecce di singolari dimensioni, avevano il color della cenere… Ma non un semplice biondo cenere… Più che altro la cenere dei tabacchi Winston… Ecco sì! Le gradazioni e le intensità erano ovviamente molteplici, ma non si discostavano molto tra di loro.
Gli occhi, se così si potevano chiamare avevano subito uno strano cambiamento. Le iridi infatti non superavano la grandezza di un’arachide. Le pupille somigliavano molto a dei chicchi di pepe color dell’ambra o dell’amaranto… Gradazioni anche queste varie. Infine erano soggetti ad invecchiare prima rispetto al normale, infatti i loro corpi erano interamente ricoperti di rughe profonde come canion… Pelle flaccida e cascante, come quella di alcuni particolari cani di origini cinesi.
Seduto ad una lieve distanza osservava Alex, dall’alto del suo scranno dopo aver parlato. Stava soppesando il suo aspetto, i suoi gesti, ogni suo minimo movimento…
Alex era impassibile, ma dalla sua espressione, per quanto fredda fosse, si notava subito una leggera scia di divertimento mista ad eccitazione.
Era passato qualche tempo da quando aveva pescato quel biglietto… E tutt’ora andava chiedendosi se fosse stata davvero una fortuna. Gruda Sin era una città relativamente grande, prevalentemente meccanica e completamente libera… Una città errante. Provvista nel vero senso della parola di quattro zampe ed un sistema di contropesi e bilanciamenti idraulici in modo da non far risentire gli abitanti del movimento colossale di quella città-creatura. Un miracolo della scienza e della tecnica, della fisica e perché no! Dell’arte! Un’arte particolare, e chi avesse in mente bellezza e perfezione… Beh non è l’arte cardine di Gruda Sin… Una pazzia di forme e colori… Un’oppiacea miscellanea di fumi multi sfumatura… Stridii meccanici oleati, eleganti e sordi visti in un’ottica di originalità ed esuberanza.
A molti pareva un’enorme testuggine dai mille volti. Antichi Folks la progettarono nei tempi antichi del carbone… Del carbone Puro… Del Carbone Steam. La città nacque come rifugio… La chiamavano Asylium a Londra, ma il suo vero nome era e rimarrà Gruda Sin…
Raramente la città si faceva vedere, e non osava quasi mai avventurarsi in zone con alta densità di popolazione come Londra o Manchester, le uniche due città ormai rimaste intatte dopo il passaggio delle guerre.
Alex smise di osservarlo solo per calare una mano in tasca ed estrarre una sigaretta spiegazzata e logora. Posò gli occhiali a mille lenti e tra le dita di metallo della mano, dell’Automade, tenne la sigaretta per qualche secondo per poi portarla alla bocca.
Il Bibliotecario continuava ad osservarlo insistentemente, senza però neanch’egli mostrare emozioni. Chiunque vedendo da lontano o da ora la scena avrebbe pensato che entrambi avessero qualche problema… Ma il difetto degli inventori era quello. Le parole erano poche, e servivano solo ed esclusivamente a spiegare ad altre persone determinati fatti. La parola era impiegata solo come mezzo esplicativo… Nessuna oratoria… Nessun diletto… Nessuna poesia… Pura essenzialità.
Il ragazzo sorrise e accese la sigaretta in un batter di ciglia…
- Il libro Joeffry… Il libro… -
Portò una mano a grattarsi la fronte mentre le parole permettevano al fumo di fuoriuscire.
Il vecchio Bibliotecario dalla pelle olivastra e ormai quasi senza più neanche un capello sbadigliò.
- A che ti servirebbe? Niente formule… Niente schizzi… Niente schemi… -
Venne interrotto quando Alex tossì ripetutamente.
- Indizi Joeff… Sono davvero l’unico in questo fottuto mondo a parlare della Steam800?-
Il ragazzo quasi nervoso sbuffò ed il fumo accompagnò quasi, le sue sensazioni ed il suo cambio d’umore, con le sue danze e le sue piroette.
poltrona.
- Anche se lo sapessi non te lo direi giovane Folk… La Steam800, non è qualcosa che puoi percepire, toccare vedere… Siete troppo portati a pensare questo voialtri… Quello che non capite, è che si tratta di qualcosa ben più grande di voi e della vostra immaginazione…-
Gli occhi rotearono perdendo la pazienza, che però tornò subito non appena fece un altro tiro alla sigaretta.
- Libertà qui significa vigliaccheria caro Joeff… Gli Ingegneri vogliono sottomettere l’inghilterra… Dopo la scomparsa della Francia e della Germania sotto il livello delle acque, l’Europa sarà un prossimo bersaglio facile per loro… O credete davvero che potrete ancora fuggire? –
Il Bibliotecario rifilò un gran ceffone ad Alex, a cui volò la sigaretta.
Il massimo che seppe fare fu di portarsi una mano alla guancia raccogliendo la sigaretta da terra.
- Su Gruda ci sono provviste a sufficienza per due secoli interi! Armi a sufficienza per distruggere l’Europa! Noi non temiamo gli Ingegneri…-
Alex si sollevò dalla sedia sputando la sigaretta lateralmente alla conversazione.
- Ma temete pur sempre il potere della Steam800 o sbaglio?-
La domanda echeggiò in Biblioteca ed il Folk vi uscì senza problemi e senza dare uno sguardo indietro.
Dal vecchio non ci fu risposta e il fiato di quelle ultime parole si spense in quella vecchia candela sul davanzale.
Le strade erano affollate mentre Alex camminava grattandosi il capo con l’Automade. I capelli corti ispidi e dei semplici abiti vittoriani da popolano. Gli occhiali sulla testa gli occhi puntati sull’asfalto di breccia. Umido e lercio, ricoperto da un sottile strato di olio per macchine ad ingranaggi.
Alla cintura aveva legate decine e decine di sacche… Li aveva tutto quello che gli serviva. Kit per le emergenze, attrezzi di variotipo… Appunti… Taccuini… ed infine la sua pistola era legata per tracolla sotto il braccio destro.
Pensieroso camminò fino alla pensione che lo ospitava. Salutò il vecchio Richard e sua moglie Johanna… Proprietari di quella piccola bettola in centro…
Salì le scale ed arrivò davanti camera sua… 800…
Alex osservò il numero di camera…
- Che beffa…-
Sospirò per poi far girar la chiave in senso antiorario per aprire la porta. Scricchiolò il pavimento sotto di lui, mentre le cerniere dell’entrata facevano da sfondo cigolando.
La stanza era piccola ma confortevole.
Un letto, un piccolo mobile come comodino di fianco, un baule malconcio a piè, un armadio per gli abiti e perfino un piccolo bagno provvisto di vasca da bagno, lavandino e gabinetto, tutti e tre in una ceramica talmente tanto invecchiata ed ingiallita da far invidia ad i Bibliotecari della città.
Colori smorzati sulle pareti spoglie che lui prontamente aveva riempito di vari e vari fogli con schizzi, formule, bozze, schemi etcetera di ipotetiche invenzioni su cui lavorare.
La porta si richiuse alle sue spalle, che prontamente si spogliò delle suppellettili, e quindi della cintura e della tracolla… Posò gli occhiali sul comodino e si lasciò cadere sul letto a peso morto.
Non controllò nemmeno la posta sul mobiletto sotto gli occhiali appena posati, e non appena sbottonato il primo bottone della camicia, i suoi occhi si chiusero facendolo sprofondare in un inquieto sonno.

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