Il Blog a misura d'uomo... Ecco il vostro angolo di sfogo artistico! Scrittori, disegnatori, fotografi, musicisti in erba e non!? Ecco! Io vi offro una casa!

lunedì 26 settembre 2011

Steam800 VI.




VI.


Il rumore dell’acqua era fastidioso ed insistente. Giorno e notte cadeva copiosa, come un assurdo ed instancabile cantare di cicale estive. L’aria lì era pulita, nessuna traccia di vapore, né di combustibili, né di motori, né…. Né di tecnologia europea.
Era un posto strano a sud dell’URSS asiatica, circondata a modi castello da una fitta rete di montagne, altissime, a modi recinzione. Alberi ovunque, ed una strana temperatura ricopriva l’aria. Il sole era forte e picchiava ogni giorno di più, ma il freddo era pungente ed austero, tipico per un ambiente di montagna. Una volta veniva chiamata Tibet quella regione, me che Mark sapesse, quello non era più che un semplice nome, tra tanti altri.
Grandi edifici, torri connesse da palazzine sottili ed irregolari, parevano più rovine che altro. Tetti rossi e spioventi, perfetto stile prima dinastia Tze Tung.
Camminava stanco su di uno scalone che passava sotto la cascata, a sfidarla quasi. L’aria era fresca ed era primo pomeriggio quando finalmente raggiunse la vetta. Dopo circa una mezz’ora aveva iniziato a contare i gradini… Circa millesettantaquatro… Tralasciando quelli già scalati. Scalati, certo. Erano irregolari e alti tra i venticinque ed i trentacinque centimetri.
Affannato la sua vista iniziava a mettere a fuoco tutto ciò si trovasse davanti a lui e fu sorpreso dal trovare a pochi metri da lui un uomo di media altezza, mezz’età, completamente calvo e con gli occhi a mandorla. Aveva delle orecchie enormi e penzolanti, un sorriso stampato in faccia, sereno ed un kimono ondeggiante dall’arancione al rosso.
Gli fece un inchino e Mark scosse la testa rimanendo ad osservare.
Il monaco, almeno questo pareva, gli sorrise nuovamente e senza dire una parola lo invitò a seguirlo.
Mark sbuffò, e si limitò a non parlare, pur soffrendo per i morsi della fame e della sete. Stette zitto ed iniziò a camminare tenendosi a distanza.
Arrivarono davanti ad un grande pesco in fiore, al centro di una piccola piazza, faceva ombra a tutto ciò che vi fosse nel raggio di settanta metri. Il monaco si fermò e gli indicò le radici dell’albero.
Il ragazzo scorse una strana figura a gambe incrociate, gli occhi chiusi e sollevato da terra per un bel po’ di centimetri.
Si fermò a qualche metro ad osservarlo. Questi sospirò.
- Mark… Da Londra, la lontana Europa ha mandato nuovamente qualcuno qui… Mi fa piacere…-
Questo sibilò la figura, del resto molto anziana, con lo stesso kimono del primo, stesse orecchie, e stessa lucentezza della testa… Aveva però sei palline tatuate sulla fronte ed una lunghissima barba bianca, talmente lunga da toccare il terreno con le punte.
Il ragazzo sgranò gli occhi e continuò ad osservarlo.
- So già perché sei qui… Prego dunque… Chiedi…-
Mark sospirò e l’unica cosa che seppe dire, affannato, fu.
- Acqua…-
Il Bonzo aprì gli occhi e sorridendo posò i piedi per terra. Gli sorrise e veloce cadde una pesca dall’albero. Di un rosa pallido, con sfumature arancio. Arrivò precisa tra le mani del bonzo che lento la porse al ragazzo.
- C’è più di quanto pensi in questo piccolo frutto… Prego quindi…-
Mark scettico la afferrò e dopo averla annusata e tastata più volte la addentò con velocità.
Si sorprese nel sentire quel dolce succo passargli intorno alla lingua e giù per la gola, e si sorprese tanto, al punto da guardare per minuti interi, stupito quella piccola pesca.
Dopo aver deglutito il primo boccone si sentì sazio e stranito stava per chiedere all’altro che subito lo interruppe.
- Questi frutti crescono qui da ancor prima della storia scritta… E non si tratta né di magia, né di tecnologia… Ma…-
Un sospiro, un attimo, a cambiar espressione.
- Ti sarà tutto chiaro… Ben presto…-
All’istante Mark fu circondato da una decina di monaci, dei quali non aveva sentito nemmeno un passo… Erano diversi dagli altri due. Portavano tutti i capelli lunghi e legati in lunghe trecce. Avevano dei baffi ricurvi, molto simili ai baroni londinesi e tutti avevano delle strane armi.
Mark fece cadere la pesca per terra.
Sussurrò qualcosa e quelli si scagliarono contro di lui impugnando strette le loro armi.
Il londinese rimase in silenzio e strizzò gli occhi velocemente.
Il suo corpo stava per essere trafitto da varie spade, una freccia e delle lance, quando al momento dell’impatto riaprì gli occhi, e fu curioso vedere quest’ennesimo Folk all’opera.
Il suo corpo divenne intangibile, dalle sfumature verdi, e quasi si riusciva anche a guardargli attraverso.
I dieci si fermarono e si voltarono verso il vecchio dalla lunga barba.
Questi sorrise, mentre Mark rimase impassibile ad osservarlo.
- Bel trucco mio caro Folk… Ma ne ho visti di migliori nei miei anni…-
Il vecchio si fece strada in mezzo a quelle guardie dai capelli lunghi, spogliandosi del suo kimono e lasciandolo legato solo in vita. Il suo corpo era rugoso come un vecchio albero, ma i muscoli, tutti erano in tensione in una maniera spropositata.
Un enorme drago gli avvolgeva il corpo costellato da vari ideogrammi risalenti ai vecchi ed antichi sutra.
- Io sono Wang Jinrei… Il Buddha di questo tempio, che da anni protegge la cascata da voi contaminati europei…-
Veloce assunse la posizione di attacco tipica del Xingyiquan. Mark lo guardò, ma non cambiò espressione e rimase fermo senza dire una parola, senza muovere un muscolo, ancora intangibile. Lo attese, e Wang non si fece attendere.
Subito scattò verso di lui caricando da terra il colpo e scaricandolo in un pugno che andò a colpire Mark all’altezza dello sterno.
Il ragazzo indietreggiò. Pur non avendolo colpito… Anche se il pugno lo aveva superato… Una vibrazione violenta gli arrivò scontrandosi tra le sue tempie. Tossì e si accorse stranito del fatto che aveva iniziato a sputare sangue.
Il suo corpo allora tornò tangibile, ma la sua espressione non cambiò e osservò il vecchio sorridere e ritornare nella stessa posizione di prima.
- L’arte del sutra va oltre la vostra chiave e ben oltre la vostra Steam800… Non potete nulla contro noi Damo! –
Mark leggero ritornò ritto e sospirò leggero.
Si avvicinò al vecchio Wang e prima che lui potesse attaccare gli sfiorò leggermente il corpo con l’indice. Il vecchio scattò e lo colpì con un colpo chiamato San Yi Quan… Il pugno delle tre armonie.
Il ragazzo fu scaraventato lontano, ma pronto si risollevò incredulo agli occhi del bonzo che quasi stanco ritornò nella posizione di prima.
Strizzò gli occhi ed il suo corpo ritornò intangibile con le stesse sfumature di prima.
- Non ti servirà a…-
Prima che il vecchio potesse finire il corpo dell’altro aveva cambiato forma ed era divenuto una copia identica di Wang.
Il monaco sgranò gli occhi e il secondo Wang, impassibile e sicuro si avvicinò. Stessa posizione dell’altro. Era come guardare un incontro allo specchio.
Il Damo iniziò a titubare, e lo si poteva notare dalla sua respirazione irregolare. Arrivò preciso e veloce un Tae mae O da parte del londinese, un colpo a mani aperte mirato al torace dell’altro, tipico del kenpo cinese.
Wang non fu in grado di reagire e indietreggiò di alcuni passi.
I suoi allievi fecero per scattare in avanti, ma il maestro li fermò ritornando in posizione di guardia e poi in posizione di saluto.
Mark riprese la forma di prima e sospirò.
- Non sono di Londra Maestro Wang… Sono di Damopula… -
Tutti sgranarono gli occhi.
- Il mio nome è Mark Sawayama… -
Fece un inchino calmo e lento al quale tutti gli altri si inginocchiarono.
- Sono qui per chiedervi della Steam800…-
Quella parola si spense nel copioso rumore di cascate alle spalle del tempio.
Wang sospirò sorridendo.

giovedì 22 settembre 2011

Il Muro di Pisa




Il murale di Pisa (1989)
L'idea di realizzare un murale a Pisa nasce in modo casuale a seguito dell'incontro per strada a New York tra Haring e un giovane studente pisano. Il tema è quello dell'armonia e della pace nel mondo, visibile attraverso i collegamenti e gli incastri tra le 30 figure che, come in un puzzle, popolano i centottanta metri quadrati della parete del Convento di Sant'Antonio.
Ogni personaggio rappresenta un diverso "aspetto" del mondo in pace: le forbici "umanizzate" sono l'immagine della collaborazione concreta tra gli uomini per sconfiggere il serpente, cioè il male, che stava già mangiando la testa della figura accanto, la donna con in braccio il bambino rimanda all'idea della maternità, i due uomini che sorreggono il delfino al rapporto con la natura. Sceglie colori dalle tonalità sottili, che attenuano la violenza cromatica che lo aveva da sempre contraddistinto, recuperando in parte i colori dei palazzi pisani e della città nel suo complesso, per rendere l'opera compatibile con il contesto socio ambientale dove è collocata. é l'unica opera di Haring che viene concepita sin dall'inizio come "permanente", non effimera e destinata a scomparire nell'uso o nella serialità della comunicazione di massa, infatti impiega più tempo ad eseguirla: una settimana, rispetto all'unico giorno con cui era abituato a realizzare gli altri murales.

Il primo giorno disegna da solo la linea di contorno nera, senza bozzetto preparatorio, poi nei restanti giorni, aiutato da degli studenti e dagli artigiani della Caparol Center, che ha fornito le vernici scegliendo delle tempere acriliche che potessero mantenere intatta la qualità dei colori per molto tempo, esegue la colorazione. Il murale ha insolitamente un titolo: "TUTTOMONDO", parola che riassume la sua costante ricerca di incontro e di identificazione con il pubblico, esemplificata in questo caso dal personaggio giallo che cammina, o che corre, posto al centro della composizione sullo stesso piano di un ipotetico passante. I trenta personaggi del murale hanno la vitalità e l'energia tipiche di Haring e del suo incessante fervore creativo che gli ha consentito di lasciare, pochi mesi prima della morte per Aids, un'opera che è prima di tutto, un inno alla vita.

Oscar Wilde -Dilemma sull'utilità dell'arte-







"L'artista è il creatore di cose belle.
Rivelare l'arte senza rivelare l'artista è il fine dell'arte. Chi può incarnare in una forma nuova, o in una materia diversa, le proprie sensazioni della bellezza, è un critico. Tanto la suprema quanto la infima forma di critica sono una specie di autobiografia. Coloro che scorgono cattive intenzioni nelle belle cose, sono corrotti, senza essere interessanti. Questo è un difetto. Quanti scorgono buone intenzioni nelle belle cose sono spiriti raffinati. Per essi c'è speranza. Eletti son gli uomini ai quali le belle cose richiamano soltanto la bellezza. Non esistono libri morali o immorali come la maggioranza crede. I libri sono scritti bene, o scritti male. Questo è tutto. L'avversione del secolo diciannovesimo per il Realismo è la rabbia di Calibano che vede riflesso il proprio viso in uno specchio. L'antipatia del secolo diciannovesimo per il Romanticismo è la rabbia di Calibano che non riconosce il proprio viso in uno specchio. La vita morale dell'uomo è materia d'arte, ma la moralità artistica consiste nell'uso perfetto di un imperfetto strumento. Nessun artista aspira a provare alcunché. Perfino la verità può essere provata.
L'artista non ha preferenze etiche. Una preferenza di tal genere costituirebbe per un artista un manierismo stilistico imperdonabile. L'artista non è mai morboso. L'artista può esprimere tutto. Il pensiero e linguaggio sono per l'artista gli strumenti dell'arte. l vizio e la virtù sono per l'artista materia d'arte. Dal punto di vista formale l'arte suprema è quella del musicista. Dal punto di vista del pathos, tipico è il mestiere dell'attore. Ogni arte è nel tempo stesso realistica e simbolica.
Chi varca i limiti di tale apparenza lo fa a proprio rischio e pericolo. Chi intende il simbolo lo intende a suo rischio. L'arte in verità non rispecchia la vita, ma lo spettatore. Il contrasto delle opinioni suscitate da un'opera d'arte indica che l'opera è nuova, complessa, vitale. Quando i critici dissentono tra loro, l'artsta è d'accordo con se stesso. Possiamo indulgere verso un uomo che abbia fatto qualcosa di utile, purché non l'ammiri. Ma chi ha fatto una cosa inutile può essere scusato solo se egli lo ammira enormemente.
.."


Oscar Wilde conclude dicendo...

"Tutta l'arte è completamente inutile."

Ora riflettete su quanto realmente l'arte possa essere utile...


Mi venne da pensare un giorno una cosa. Parlavo con un ragazzo che per la seconda volta stava tentando il test d'ingresso alla facoltà di medicina e chirurgia, se non sbaglio di Siena, ad un certo punto gli chiesi, come chiedo sempre a gente molto materiale... Pensi che il lavoro di un medico sia più importante di quello dell'artista? Musicista, pittore, disegnatore, scrittore ecc... Questi, senza indugiare rispose di sì, senza dar spiegazioni e rimanendo sul... Dai non scherziamo! E' così... Smisi allora di battermi con lui, in quanto la reputavo una battaglia davvero inutile e lo lasciai con una semplice frase.
Tu come medico potrai anche curare la fisicità di una persona... Io come artista però curo le sue emozioni e lo miglioro a livello intellettivo e creativo...
Me ne andai.
Non voglio assolutamente però dire che uno dei due mestieri sia superiore all'altro, anzi, volevo solo portare quel ragazzo ad una riflessione oggettiva dell'utilità della materialità.
Il punto è proprio il suddetto. La materialità.
La società odierna è troppo portata a pensare per chematiche fisse, dove le scelte umane sono guidate dal profitto materiale e non spirituale, intellettivo, o creativo che sia. E ammetto anche a malincuore che la gente come me invece è troppo portata a pensare spiritualmente, intellettivamente e creativamente. Si potrebbero trovare errori in entrambe le scuole di pensiero eppure il punto è proprio qui. Nell'equilibrio c'è la virtù... Si potrebbe magari un giorno riuscire a trovare, e spero di non dover aspettare Il mondo dopo la fine del mondo, di Harkaway.

Il Mondo dopo la fine del Mondo -Nick Harkaway-







Questo esordio narrativo abbatte a spallate i confini tra i generi letterari: è al contempo una favola politica sull'assurdità della guerra, un'opera sarcastica di fantascienza sui pro e i contro dell'Apocalisse, un thriller imbottito di cospirazioni, guerrieri ninja e cani cannibali, un horror alla Lovecraft sul nostro futuro mica tanto remoto. La trama in soldoni: le Bombe Svuotanti hanno cancellato intere zone della realtà dalla faccia della terra. Un soldato senza nome e il suo eroico amicone Gonzo Lubitsch devono affrontare l'inimmaginabile minaccia che viene dall'esterno della Zona Abitabile: un assortimento da incubo di mutanti e mutazioni. Non contenti di avere fra le mani il destino dell'umanità, i due finiscono per trovarsi coinvolti in un triangolo amoroso potenzialmente catastrofico. Accompagnati da una ciurma di guerrieri male assortita e rotta a ogni esperienza, i nostri eroi riusciranno a salvare questo caoticissimo mondo postapocalittico? E soprattutto: ne vale la pena? Salutata dalla stampa internazionale come un'opera esilarante e profonda, erede di Comma 22 e del miglior Kurt Vonnegut, questa avventurosa odissea comica in 3D dotata di effetti sonori speciali, rappresenta l'irruzione sulla scena letteraria mondiale di un autore pieno di un talento. 


                     " Le luci al bar Senzanome si spensero poco dopo le nove. Io ero chino sul tavolo da biliardo con una mano sulla chiazza liscia dietro l'area D, che a detta di Flynn il Barista era una macchia di birra, ma aveva la stessa forma e le stesse dimensioni del culo di sua moglie: a tutto baglio e sagomato come la sezione trasversale di una mela. [...] Mi appoggiai con tutto il peso sull'impronta del didietro della moglie di Flynn il Barista e feci comunque il mio tiro. Il pallino corse sul feltro con un sussurro, rimbalzò su due sponde e mandò in buca la otto. Doff, doff, tic... glonk. Perfetto. Peccato però che volessi colpire la sei..."


"Esilarante, scandaloso e profondissimo..." Questo è ciò che dice THE INDIPENDENT, quotidiano britannico pubblicato dal 1986, ma se ne potrebbero aggiungere altri ed altri ancora di epiteti senza mai sbagliare. E' pura follia, calcolata però al dettaglio da uno scrittore che al suo esordio sembra abbattere le barriere di pensiero comuni della satira e dell'umorismo. Un mix imperdibile di stranezze, descritte con una tale serietà da sembrare agli occhi del lettore assolutamente ed imprenscindibilmente così vivide e reali. E' questo Il mondo dopo la fine del mondo, uno strano caso di un acerrimo capolavoro assolutamente nemico dell'odierna società.

Cecità -Josè Saramago-







In una città mai nominata, un automobilista fermo al semaforo si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. La sua malattia, però, è peculiare: infatti egli vede tutto bianco. Tornato a casa con l'aiuto di un altro uomo (che ben presto si rivelerà un ladro) racconta l'accaduto a sua moglie. I due si recano da un medico specialista, dove trovano un vecchio con una benda nera su un occhio, un ragazzino che sembrava strabico, accompagnato da una donna e una ragazza dagli occhiali scuri.

Il medico, dopo aver esaminato l'uomo (che, nel seguito della storia, sarà chiamato il primo cieco), si accorge di non avere spiegazioni per quella improvvisa cecità. Ben presto, però, la cecità comincia a diffondersi. Il ladro di automobili, il medico, la moglie del primo cieco, sono tutti colpiti dalla strana malattia. La moglie del medico sembra l'unica a non essere contagiata. L'epidemia si diffonde in tutta la città e il governo del paese decide, provvisoriamente, di rinchiudere i gruppi di ciechi in vari edifici, allo scopo di evitare il contagio. Ogni giorno le guardie avrebbero fornito il cibo agli internati.

« Fra i ciechi c'era una donna che dava l'impressione di trovarsi contemporaneamente dappertutto, aiutando a caricare, comportandosi come se guidasse gli uomini, cosa evidentemente impossibile per una cieca, e più di una volta, o per caso o di proposito, si girò verso l'ala dei contagiati »
Il medico, la moglie del medico (l'unica dotata della vista), il primo cieco e sua moglie, la ragazza dagli occhiali scuri, il ladro di automobili e il ragazzino strabico si ritrovano tutti nello stesso edificio, un ex manicomio. Inizialmente, la distribuzione degli alimenti avviene regolarmente, ma ben presto i ciechi si ritrovano abbandonati, perché la cecità si diffonde anche tra i soldati e i politici, fino a colpire tutto il paese (tranne la moglie del medico). All'interno del manicomio, inoltre, un gruppo di ciechi (i "ciechi malvagi") si impossessa di tutte le razioni di cibo provenienti dall'esterno per poter ricattare gli altri malati e ottenere potere e altri vantaggi, compresi rapporti sessuali con le donne. Proprio durante uno di questi stupri collettivi, la moglie del medico uccide il capo dei "ciechi malvagi". Nel tentativo di rendere inoffensivi questi ultimi, un'altra donna dà fuoco ad un mucchio di coperte nella loro camerata, ma il fuoco si diffonde e finisce per avvolgere tutto l'edificio. Molti ciechi muoiono, ma una parte di loro (tra questi, il gruppo della moglie del medico), riesce a uscire all'aria aperta.
All'esterno dell'ex manicomio, la moglie del medico vedrà i risultati dell'epidemia. Morti per le strade, la città in totale abbandono, gruppi di ciechi che occupano le case altrui e lottano l'uno contro l'altro per assicurarsi del cibo. Mentre il gruppo della moglie del medico cerca di organizzare la vita del gruppo, tutti i ciechi guariscono inspiegabilmente, senza alcuna ragione apparente, proprio come all'inizio della vicenda era sopraggiunta l'epidemia.

martedì 20 settembre 2011

The Bard's Song



Ora conoscete tutti
I bardi e le loro canzoni
Quando le ore saranno passate
Chiuderò gli occhi
In un mondo lontano
Potremo incontrarci di nuovo
Ma ora ascoltate la mia canzone
Sull'alba della notte
Cantiamo la canzone del bardo.
Domani ci porterà via
Lontano da casa
Nessuno conoscerà il nostro nome
Ma le canzoni dei bardi resteranno
Domani porterà via
La paura di oggi
Sarà svanita
Grazie alle nostre magiche canzoni.
C'è solo una canzone
Ancora nella mia mente
Il racconto di un uomo coraggioso
Che viveva lontano da qui
Ora le canzoni dei bardi sono finite
Ed è tempo di andare
Nessuno dovrebbe chiedere il nome
Di colui
Che ha raccontato la storia.
Domani ci porterà via
Lontano da casa....

Pura poesia quando ci si ricorda di quando si era bambini e si sentivano storie su cavalieri, principesse, fate e folletti. Quante volte gli elfi hanno abitato le vostre menti? Quante volte avete pensato... Magari potessi vivere in una di quelle storie... Vivere intensamente la loro storia, le loro avventure e i loro amori. Ma alla fine sono solo leggende che rivivranno negli angoli più bui di quelle stanze chiamate... RICORDI...
Ma alla fine qualcosa possiamo fare... Io e voi. Lasciate libera la vostra mente e provate a volare via, lontano, scrivete una fiaba, qualsiasi cosa che almeno per una volta ci faccia sognare e scappar via da questo mondo che poco ne vuole sapere di quelle stupide storie per bambini...

lunedì 19 settembre 2011

Fiabe Ucroniche -Introduzione-





Non vi sarà poesia, non vi saranno fronzoli, e dove li troverete, beh non li riconoscerete, e se siete qui per giudicare chiudete e bruciate queste pagine. Noterete che l’odore non è lo stesso di un semplice pezzo di carta incenerito. E se volete far qualcosa come si deve, beh che abbiate un camino, il gesto risulterà plateale almeno. Non trovate? Beh io sì… E fiumi di parole, giudizi incomprensibili, applausi di cortesia. Beh il fine non è vendervi nulla. Non sarà un prodotto questo, non sarà un giocattolo né tanto meno il libro che avete sempre sognato di leggere, perché tale, infine non è. Ci sarà chi riderà e chi piangerà, ma in fin dei conti è tutto ininfluente. Il fine è un altro e solo pochi riusciranno a coglierlo, e ben di più mi fa piacere dire pochi quando quei pochi che immagino equivalgono ad un emblematico e aborrido nessuno. Aborrido poi? Dobbiamo molto alla parola. Si possono esprimere concetti di concretezza così blanda con parole affascinanti e suadenti e tutti reputerebbero migliore quella torta ripiena di budella di topo, solo perché ricoperta di panna. E se pur il concetto risultasse intrigante e profondo, allora lì l’equilibrio dovrebbe e verrebbe a bussare. Chi ama una torta ricoperta in quantità industriale di panna? Si preferisce sempre il ripieno del resto o sbaglio? Mah… Non so che dirvi ma vorrei farvi notare che il racconto non è ancora iniziato e avete già perso inutilmente dei minuti importanti, leggendovi queste quattro righe completamente senza senso.
Reputate davvero queste righe senza senso? Beh vi ripropongo l’invito. Gettate il libro, non fa per voi.
Molti personaggi verranno presentati, alcuni non avranno facce, altri saranno inutili ai fini della narrazione, ammesso che narrazione ci sia, altri ancora cercheranno di plagiarvi ed altri tenteranno di baciarvi. Diffidate da loro, nessuno è normale e la normalità non fa per loro. Se lo stomaco non vi regge più di tanto non andate avanti con la lettura, potrebbe causarvi delle lesioni cerebrali non indifferenti anche se, sono sicuro di questo, nessuno di voi ci capirà molto. Per molti sarà solo un elenco di passi e bozze slegate che non fanno riferimento a nulla e non finiscono con nulla. E ‘ perché si è tropo portati a pensare ad un qualcosa di sensorialmente percettibile. Spegnete un attimo tutte e cinque le vostre armi… Nulla vero? E’ qui che parte il gioco.
Tirate un dado… Non sempre si è fortunati.
Sei! Complimenti è il vostro giorno fortunato! Fidatevi dell’istinto e cercate, senza molta fatica di far scivolare veloci tutte quelle immagini che a breve, miei cari… Vi pioveranno addosso.
Buona Fortuna…
Stanotte è morto un sogno… Qualcuno sa… Qualcuno sa…

Hayao Miyazaki

Il Castello errante di Howl



Sophie, una ragazza solitaria e piuttosto scialba, è la maggiore di tre sorelle ed ha ereditato dal padre la gestione della cappelleria di famiglia. La sua monotona vita, tutta casa e negozio, viene un giorno sconvolta dall'incontro con un misterioso ragazzo dagli incredibili poteri magici e, in seguito, dal maleficio scagliatole dalla malvagia Strega delle Lande Desolate, che la trasforma in una vecchietta; Sophie si trova così costretta ad andarsene di casa a causa delle sue nuove sembianze.
Nel viaggio verso le Lande, un territorio desolato oltre i confini della città, incontra un curioso spaventapasseri animato che la invita a seguirlo fino ad uno strano castello semovente, nel quale pare abiti il famigerato mago Howl. Qui Sophie si stabilisce come donna delle pulizie e scopre così che il misterioso ragazzo che aveva incontrato il giorno prima era proprio Howl, al quale la Strega delle Lande Desolate dava la caccia e sul quale pende una terribile maledizione che lo lega a Calcifer, il demone del fuoco, che è il suo servitore e che governa il castello.
Per sciogliere la maledizione che la strega ha lanciato su di lei, Sophie stringe un accordo con Calcifer: dovrà scoprire e svelare il segreto del patto tra Calcifer e Howl, permettendone quindi l'annullamento, in cambio a sua volta della liberazione dal maleficio.
Nel mondo dove il potere della guerra e della magia sconvolgono senza pietà persone e luoghi, Sophie, grazie solo alle semplici armi del perdono, dell'amicizia e dell'amore riuscirà a costruire un nuovo modello di convivenza. [...]

Questo è cose di certo vi dirà Wikipedia, ma nel grande maestro dell'animazione Miyazaki, e in questa strabiliante opera c'è molto di più.
Non starò qui a 'pomparvi' di paroloni aulici e di poesia per descrivere un qualcosa che nella sua spettacolarità si descrive già da sè.
Il punto è... Perchè?
Fermatevi un attimo... Avete visto il film d'animazione in questione? No? Ecco! Fatelo e poi ritornate a leggere... Se l'avete già visto vi chiedo...
Dopo averlo letto, non vi siete fermati davanti ad uno specchio, oppure solamente fissando il soffitto, e vi siete chiesti... Ma?
Questo 'Ma' può significare tantissime cosa ma prevalentemente esprime incredulità. Perchè è questo che suscita una qualsiasi cosa partorita dal genio del maestro Miyazaki.
Come è possibile? Come ha fatto? E qualcuno mai potrebbe riuscirci?
Chiedetevi anche se sareste mai in grado di immaginare anche alla lontana quella miriade di personaggi e creature che regnano e popolano le immense tavole di questo anziano signore di origini giapponesi...
Ci potreste mai riuscire? Non dico sia impossibile ma... Quasi.
Esiste gente come lui sicuramente al mondo, ma... La diatriba nasce da delle specifiche riflessioni.
Dove sono queste persone? E se anche ci sono perchè si nascondono? E anche se non si nascondessero, perchè non riusciamo a vederle?
Siamo sempre lì... Vi siete dati una risposta? Io si... La nostra società li ha uccisi, o lo sta facendo anche in questo preciso istante, senza che noi ce ne possiamo accorgere, magari nell'edificio di fronte al nostro abita un genio di questo calibro e purtroppo proprio ora, uno spietatissimo alieno ha fatto irruzione nella sua camera e sta succhiandogli il cervello... E noi? Noi non facciamo nulla...
Ma non si deve disperare... Questo blog nasce proprio per questo.
Smuovere qualcosa e dare delle possibilità fin dove possibile a chi come me ha dei sogni, e ben difficili da realizzare in un mondo come questo.

Scrittori, disegnatori in erba? Musicisti in erba? Qualsiasi tipologia di artista in erba? Ci siamo capiti no!? Siete in erba e volete esplodere? Possiamo farlo insieme! O almeno... Ci possiamo provare...

SuccoDiFico



http://www.flickr.com/photos/succodifico/

E' ora che l'arte della fotografia sia divulgata ai popoli... Troppe cose vi sono state dette su quest'altre a tantissime fuorvianti.

Scoprirete molte cose...
Programmi di grafica? Off!
La mano umana e il suo istinto per la luce ed i colori... E' così che funziona! Non serve solo una semplice reflex! E' ben altro... Cuore, passione... Ebrezza!

Steampunk

Tempo fa accennai due parole sul genere Steampunk. Ebbene, cos'è lo Steampunk?
Bé, prendete un'epoca storica diversa dalla nostra e introducetevi una tecnologia avanzata o addirittura futuristica. Il mix è, appunto, lo Steampunk.
Col tempo, tuttavia, il genere è andato maggiormente delineandosi. L'epoca storica più utilizzata è il XIX secolo (o, in alternativa, i primissimi anni del XX) e l'ambientazione è quella descritta nelle opere di Charles Dickens, vale a dire l'Inghilterra Vittoriana con le sue celebri "due facce della medaglia": povertà assoluta e sfarzo sfrenato.
Steam, inoltre, è una parola inglese che significa "vapore". La principale fonte di energia nei romanzi/libri/fumetti/film Steampunk è, appunto, il vapore.
Ma come nasce questo genere?
Per scoprirlo dobbiamo fare qualche passo indietro.
Tutti voi conoscerete sicuramente i romanzi di Jules Verne. Alcuni, come Ventimila leghe sotto i mari, Dalla Terra alla Luna, Il giro del mondo in ottanta giorni ecc... sono diventati dei veri e propri romanzi cult per ragazzi (e non solo). Anche di Verne avrò modo di parlare in maniera più approfondita in un altro post; al momento mi limito a quanto la sua produzione (e quella di molti altri suoi contemporanei, primi fra tutti H. G. Wells) ha influito sulla nascita del genere Steampunk.
Verne scriveva romanzi di fantascienza, ma era uno scrittore ottocentesco. Essendo i suoi romanzi incentrati sulle future tecnologie e non sul futuro del nostro pianeta, l'ambientazione era, appunto, il presente dell'autore. Vale a dire l'ottocento.

Ecco perché i suoi romanzi (o quelli di H. G. Wells, autore - tra le altre cose - del primo vero romanzo di fantascienza: La Guerra dei Mondi) non possono essere considerati Steampunk.
Eppure, sicuramente, hanno dato manforte al genere.
Lo Steampunk è un genere molto noto nei paesi di lingua inglese. Decisamente meno in Italia, dove di Steampunk si è pubblicato davvero poco e quel poco è ormai rintracciabile solo sulle bancherelle di un mercatino o nella libreria di un collezionista. Un'eccezione recente è il romanzo di Scott Westerfeld Leviathan edito da Einaudi proprio quest'anno.
Lo Steampunk, inoltre, ha trovato collocazione anche nel campo dell'oggettistica e dell'arredamento. Molti sono gli "aggeggi" da collezione che interessano gli appassionati di tutto il mondo. Alcuni, devo ammettere, sono davvero interessanti.
Spero di poter recensire presto qualcosa di genere Steampunk... vedremo

Steam800 V.


V.


Il suo era stato il viaggio più lungo, stancante e… Gli aveva dato molto da pensare alla fin fine. Gear Wave Land, una città oltre i monti d’Oriente dell’URSS. Una piccola cittadina, dall’aspetto normalissimo… Vie parallele e perpendicolari, un sistema di comunicazioni semplice ed efficace. Pochissimi attrezzi a motore… Giusto qualche piccola locomotiva mercantile, ed agraria, ed in tutto si potevano ammirare qualche cavallo a sella a vapore e qualche albero Immortale. Gli alberi Immortali erano davvero rari, e al mondo se ne potevano contare pochi più di un centinaio. Degli alberi meccanici, rossastri ed arrugginiti, pieni zeppi di ingranaggi, pistoni e turbine sbuffanti fiotti di fumo smeraldino. Le fronde erano costituite da foglie metalliche, alle volte in bronzo, alle volte in stagno, alle volte in rame, con sfumature dal verde accesso al rosso sangue. Vivevano grazie agli oleodotti in disuso che avevano ormai rilasciato tutto il loro olio nel terreno e quindi ci si poteva tranquillamente aspettare di trovare uno di questi alberi nel bel mezzo di un canyon o di un deserto, come in Africa ad esempio, laddove dopo la quinta industrializzazione ormai di povertà non si poteva più parlare.
La loro utilità era sconosciuta a quasi tutte le persone presenti sul globo, tranne ad un gruppo di Folks chiamati Sumarai, e ad un gruppo di avanguardia ingegneristica, chiamato, Caschi Bianchi d’O9. Ogni anno gruppi sempre più cospicui si affrontavano per la supremazia ed il controllo sugli alberi, ma ormai nessuno quasi ci faceva più caso e si potevano tranquillamente notare, in pub, bar, taverne sperdute, due fazionisti opposti ormai in pensione prendere da bere e brindare insieme al loro futuro e al fatto che non gli avessero chiamati più ad uccidersi a vicenda.
Era così che funzionava da moltissime parti. I Folks venivano allontanati dalla gente comune nelle grandi città, ma nei piccoli paesini, lontani kilometri dalla civiltà, essi vivevano insieme come se nulla fosse, e i poteri di questi esseri venivano messi a disposizioni di quei piccoli centri abitati.
Gear Wave poteva contare una media di 3.000 abitanti di cui una decina di Folks, un centinaio di caschi bianchi e la parte restante di civili.
Una cittadina agricolo-commerciale, spensierata e senza problemi. Pur trovandosi in territorio Socialista, Gear Wave non era stata colpita dal periodo delle guerre, delle rivoluzioni Marxiste, e nemmeno dalle neo-rivoluzioni di ottobre e novembre. Era un bunker quella città, ed anche per questo motivo aveva visto aumentare il suo numero di abitanti, ogni anno del 15-17 per cento.


La lama ad ogni passo cigolava insistentemente nel fodero. Aveva una lunghezza di novanta centimetri, ma questo non era un problema del resto… Alex aveva una intelligenza fuori dal comune, una velocità impressionante ed una mira da brivido… John era capace di modificare qualsiasi sua parte del corpo, di dimensioni rendendola enorme ed alle volte meccanica… Slifer non era nulla senza la sua spada. Infatti, a differenza di quanti potessero pensare, e quindi provare a disarmarlo o roba del genere, rimanevano sempre sorpresi delle sue capacità.
La spada non poteva essere staccata dal corpo di Slifer a meno che lui non lo volesse o non la lanciasse e comunque una volta fuori il suo controllo non poteva essere usata da nessun altro se non da lui… Una bella capacità, anche se aveva molti difetti…
Un lungo cappotto perfetto stile vittoriano, pieno di bottoni e stringature in grigio scuro. Fin sotto le ginocchia. Dei pantaloni neri con bretelle e degli stivaletti a metà caviglia, del grigio sopracitato, un’antracite quasi.
I capelli lunghi stavano oscillando al vento e quasi sembrava intorno a lui esser calato l’inverno. D’improvviso…
Silfer era una persona fredda, con gli occhi color del ghiaccio, quasi bianchi con delle piccolissime pupille di una gradazione leggermente più accesa del celeste. Non che fosse austero… Indisponente… Solo che… Non aveva passato una vita del tutto facile, come del resto tutti i suoi compagni Folks di Londra.
Era stato rinchiuso in un monastero presso Trefford, in Hale Road, quando all’epoca era ancora tutta campagna.
Lo chiamavano deforme, storpio… Quegli occhi… E quella escrescenza per il fianco sinistro. Era stato definito un mostro, un aborto della società e così era stato mandato lì. “Le sorelle dell’ottocentesimo ingranaggio”, un nome particolare, per delle persone particolari… Del resto.
Crebbe isolato dal mondo, nessun contatto con l’esterno, una stanza buia, umida e maleodorante. Un piccolo letto, un giaciglio improvvisato per lo più, il tintinnio delle gocce insistente… Una piccola tazza in alluminio battuto scavata nel terreno, nella roccia, una bacinella con dell’acqua… Una scatola di legno a piè del “lavabo”, vuota del resto, ed una piccola bibbia, rilegata malamente e per lo più mangiata dalle tarme, quasi per metà… Anzi, una buona metà.
Isolato, mentre giorno dopo giorno continuava ad odiare sempre più quella strana protuberanza tubolare che gli pendeva per il fianco sinistro. Cercò disperatamente di strapparsela da dosso, ma più ci provava e più essa diveniva resistente. Giorno dopo giorno soffriva sempre più finchè, man mano ci fece l’abitudine fino al giorno in cui capì che, quella maledetta condanna, sarebbe divenuta anche l’unica chiave per la libertà, tanto sperata… Ogni notte, mentre il timido e gobbo Lampionaio passava ad accendere il lampione brillante fuori dalla sua finestra.
Una lama… Una maledettissima spada…
La tenne nascosta per anni quando un giorno…
Il Monastero delle sorelle dell’ottocentesimo ingranaggio, fu raso al suolo. Nessuna traccia di corpi, mura distrutte, terreni abbattuti… Nulla. Come se quel posto lì, non ci fosse mai stato.
Silfer scappò e si rifugiò a Londra, intento a cercar riparo. Fu uno dei primi… Fu accolto presto da William e la Mamma…


La direzione era stata scelta già da alcune ore di cammino, e non si voltò, né si fermò, mentre la gente stranita guardava attenta il forestiero. Fatto sta che lo trovò con facilità… Era enorme, possente, alberi così non ne aveva mai visti in vita sua, né a Londra né in nessun altro posto. Era abituato a viaggiare e molto spesso mancava dalla Mamma per mesi e anni interi addirittura.
Di un rosso ruggine tetro, smorto, lugubre, quasi tossico a vederlo da lontano. Pareva una di quelle vecchie cisterne di gas della vecchia industria oltre Flything Street. Una nebbiolina, quasi polvere, sottilissima, color amaranto e nero viaggiava tutt’intorno, tempestata qua e là da bagliori color verde smeraldo. Qualche ingranaggio, di notevoli dimensioni, ogni tanto spuntava dal terreno o dai possenti rami di lamiere e scarti ferroviari. Nessuna sapeva nulla di nulla di quegli alberi, nemmeno se nascessero così o meno, ammesso che qualcuno ne avesse visto nascere uno… Ecco… Nessuno.
Camminò per ancora qualche minuto, all’incirca una ventina scarsa, iniziò a scorgere delle figure tutt’intorno. Uomini alti e molto magri, orecchie lunghissime e a punta, facce e corpi ricoperti da un sottile strato di pelliccia, simile a quella dei gatti, ognuno di colore, diversa. Indossavano tutti quanti dei kimono o delle armature leggere in cuoio, o entrambe. Tutti portavano una coppia di katane a testa legate per un fianco, chi più lunghe chi più corte. Parevano agili. I loro movimenti però erano lenti e riflessivi, come se fossero stanchi… Avevano i capelli raccolti in code di cavallo alte, legate con dei nastri di vari colori e dimensione… Sumarai… Pensò subito Silfer, e ben presto i suoi pensieri, concordarono con la realtà effettiva.
Uno di essi infatti si avvicinò calmo e sorridente. Aveva il muso come quello dei felini, stesso naso e stessa bocca, per non parlare degli occhi e della pelliccia intorno alle guance e sul mento. I capelli erano lunghissimi e rossicci. Portava due normali ken, una katana ed un harakiri ken, un kimono grigio e bianco, una monospalla in cuoio e un pettorale in cuoio, oltre a cintura e schinieri sempre dello stesso materiale. La cosa particolare fu un’altra… Tutti, chi in una posizione del corpo chi in un’altra, avevano un ingranaggio di piccole dimensioni inciso a fuoco, sulla pelle.
- Salve! – esordì con una mano sull’elsa osservando la katana di Silfer.
Solo un cenno con la testa a mò di risposta, mentre il corpo seguì il movimento delle iridi scattando in avanti ed oltrepassando quella prima figura che ben presto non si fece attendere.
- Ehi! – Urlò più volte, poi si parò davanti a Silfer con uno scatto felino non indifferente.
L’altro lo osservò.
- Cerco il Sumarai di nome Tamahagane, e suo fratello Gassan… -
Un’altra volta lo oltrepassò, ma stavolta non si fece attendere l’uomo felino… Un sibilo leggero si sentì… Una spada stava uscendo dal fodero.
Silfer rise e tutt’intorno calò il silenzio. Tutti ad osservare, chi preoccupato e chi a scommettere, pronto a godere sulle disgrazie di uno dei due.
- Non lo fare…- Sussurrò il Folk.
L’altro non ascoltò e si lanciò urlando…
Pochi attimi e il Sumarai cadde in ginocchio con metà spada tra le mani. A qualche metro di distanza l’altra metà. Il ragazzo dai capelli argentati rifoderò la spada e continuò a camminare tra la folla.
La direzione era stata scelta, e non si voltò, né si fermò, mentre la gente stranita guardava attenta il forestiero.
Non si fece attendere un felinide con degli enormi denti a sciabola fuori dalla bocca, logori e consumati, spaventosi… Alto più di due metri e venti osservò per qualche attimo il ragazzo… Gli sorrise e gli rifilò una terribile pacca sulla spalla destra, alla quale non reagì.
Portava una grande armatura in cuoio, da vecchio shogun, dei capelli lunghissimi, enormi, sciolti lungo la schiena color cenere, e aveva dei grandissimi occhi dorati.
- Da questa parte Folk!- Urlò conducendo il giovane all’interno del grande albero, oltrepassata la grande porta di lamiere arrugginite e grandi ingranaggi.
Sbuffò del vapore, finchè i due non furono dentro.
Un stridere di leve e cingoli mal oleati, arrugginiti ed infiacchiti dal tempo fece vibrare paurosamente i sensi del ragazzo che non fece notare a nessuno il suo stato, mentre rifletteva a come i Sumarai sopportassero quel rumore, e a cosa ci potesse essere dentro quell’albero gigantesco.
Della nebbia riempiva quella, che dall’aspetto non molto riconoscibile, pareva una grande sala circolare, cilindrica, alta più di duecento metri. Corridoi a spirale salivano per tutto il perimetro di quella grande fabbrica, o almeno così capì il Folk, osservando le centinaia di persone affrettarsi, lavorare, sudare, sporcarsi e farsi del male, urlare, imprecare, osservare e sbuffare, osservando l’orologio che ancora segnava le dodici del mattino… La cupola era grande e lucente e quei corridoio a cielo aperto sembravano portare in un altrettanto grande stanzone… Osservò tutto con estrema attenzione, pensando ad ipotetiche vie di fuga nel caso in cui le cose si fossero messe male, e analizzando il fine ultimo delle attività di quelle persone, in fin dei conti pochissimi erano Sumarai, in quella specie di fabbrica. Fatto sta che attento e silenzioso seguì per i lunghi corridoi a spirale quel gigantesco essere dai denti a sciabola che presto non tardò a presentarsi.
- Il mio nome è Ludwig di Colonia piccolo Folk! –
Urlò, per sovrastare il rumore di metalli pressati e battuti, stridii di inceneritori e vari cingoli per il trasporto merci.
Silfer non rispose, si limitò ad osservare dritto dinnanzi a sé.
- Potresti almeno presentarti Londinese! Non credi? –
Urlò più forte Ludwig passando di fianco ad un inceneritore.
- Silfer…-
Fu la risposta, dopodiché tacque, continuando a guardare il sentiero dinnanzi a lui che sempre andava riducendo la distanza con quella grande stanza in cima.
- Silfer eh! Bel nome per un londinese! Pensavo che tra di voi ci fossero solo qualche John e Jack mischiati casualmente! –
Il leonino gigante rise a crepapelle, e notò una leggera risata malinconica al pronunciare il nome di John. Se ne accorse ma preferì tacere per il momento, senza sporsi troppo… Non era compito suo del resto.
I discorsi si interruppero e non molto lontani dalla grande soffitta, Ludwig si fermò porgendo il palmo ad indicare una piccola porta in legno.
- Puoi attendere qui finchè non sarai convocato…-
La mano pelosa, con sole quattro dita, scattò alla maniglia aprendo la porta e mostrando la stanza.
Silfer fece un inchino col capo ed entrò controllando che la porta dietro di lui non si chiudesse a chiave, bloccandolo all’interno. Non successe nulla. Nulla di nulla, mentre le glaciali iridi si scorsero intorno osservando un normalissimo, e alquanto strano, in quell’ambiente tanto austero all’eleganza, un piccolo salottino in perfetto stile inglese, con tanto di caminetto, tavolino, poltrone, sigarette, ed un intero servizio da tè già pronto per due persone.
Lo sguardo scattò di lato subito ed una mano all’elsa. Una tazza era fuori posto e fumava ancora.
Un cigolio lieve, quello della spada nel fodero mentre un uomo da una statura media osservava fuori da un piccolo oblò il paesaggio ammirabile da quell’altezza.
- Tranquillo…- Sussurrò mentre tra le sue labbra stava fumando una storta ed umida sigaretta. – Sto attendendo anche io come te un colloquio…-
Silfer si rilassò.
L’altro era un uomo normale all’apparenza. Dei lunghi capelli biondi fin sotto la nuca. Un paio di occhi azzurri. Un’armatura medievale da cavaliere, senza elmo ed una spada ed una daga, una per un fianco una per un altro, mentre leggero a tracolla ondeggiavano faretra e arco.
Stranito lo osservò con attenzione. Aveva un volto pulito, con un leggerissimo accenno di barba, semi rossiccia, ed una piccola cicatrice sotto l’occhio sinistro.
Il Folk si portò stanco in un angolo al quale vi si appoggiò delicato ritraendo una gamba a modi cavalletto. La katana strisciò il muro ed il rumore provocò la pelle d’oca al ragazzo…Un brivido lungo le braccia e lungo la schiena.
Il cavaliere tossì e si voltò andandosi a sedere ad una poltrona. Tolse prima arco e faretra. Poi daga e spada, posandoli di lato vicino allo scranno. L’armatura cigolo un po’, e per un attimo risplendette illuminata da un raggio proveniente dalla finestra.
Spense con delicatezza la sigaretta dentro ad un posacenere, e prese, piano, con paura, quasi di distruggere qualcosa, la teiera. Versò il tè in due tazze ed una la portò alle labbra.
- Avrei preferito del cappuccino e dei cornetti alla crema… Il tè mi fa schifo, ma è l’unica cosa che danno qui… -
Silfer non diede molto adito alle parole dell’altro e per tutto il tempo continuò a fissare la legna scoppiettare.
- Sono italiano…- Soffiò sulla tazza. – Mi chiamo Vandaro…- Fece una piccola pausa, sorrise.
- Italia poi… Parlo delle colonie del vecchio Re di Napoli, distribuite in tutto l’oriente ed il sud… Sono cavaliere di Suà Maestà, la Regina Clara De Schia…- Un sorso lungo per poi stringere i denti in una smorfia di dolore quasi, per il calore di quella bevanda. – Voi invece? Sareste? –
Silfer lo osservò impassibile. Non si mosse e rispose con sufficienza.
- Silfer… -
- Tsk… - Rumore gutturale di sdegno e impazienza, poi Vandaro sorrise. – Che nome del cazzo!-
Le labbra dell’italiano di portarono nuovamente alla tazza quando un sibilo tagliò l’aria e quest’ultima cadde per terra. Solo il manico rimase tra le mani dell’uomo che sgranò gli occhi e quello che poi potè sentire fu solo un rifoderare di spada. Sospirò.
- Non penso tu sia umano… - Poggiando il pezzo di ceramica sul tavolino.
- Avete al cospetto un lurido Folk… Né cavaliere, né regno, né colonie, né re e regine…-
Vandaro sgranò nuovamente gli occhi mettendosi a ridere. Poi tossì per qualche istante prendendo un’altra sigaretta dal tavolino.
Schioccò due dita ed una fiamma accese la sigaretta.
Silfer si stupì, ma non lo diede a vedere, sorrise solamente.
- Non sei l’unico ad avere dei doni ragazzo… -
Silfer stava per aprir bocca quando la porta si spalancò e vi entrò un uomo bassino dalla lunghissima barba, anch’egli un Sumarai. Anziano e posato su di una katana a modi bastone. Tossì un paio di volte ed osservò i due.
- Spero il soggiorno sia stato di vostro gradimento signori… - Osservò la tazza per terra. – A quanto vedo vi siete già presentati… Bene… - Sospirò. – Non dovrò faticare nel farlo io allora.-
Fece cenno con la mano di seguirlo. I due immediatamente si sollevarono discostandosi dalle loro postazioni e si posizionarono affiancati dietro al vecchietto, che con andatura molto lenta stava dirigendosi verso la grande sala circolare, sul tetto dell’albero.

Steam800 IV.


IV.



Rimani sveglio… Rimani sveglio… Rimani sveglio porca puttana. Ombre nel buio… Lo sguardo frenetico. Le iridi celesti scrutano ogni dove senza captare alcunché. Sudore. Respiro affannato. La corsa lo aveva devastato, era sfinito, in un angolo. La mano destra stava vibrando copiosamente, quasi schizofrenica. Nessun suono, rumore, odore… Percezioni assenti in un nero più totale, intorno.
Respira… Respira… Non esistono. Allucinazioni… Aveva detto erano solo allucinazioni…
La scia di sangue gli rigava il braccio destro imperlando le dita. Tracce ovunque del suo passaggio. La pelle era divenuta chiarissima, inconsistente quasi. Tremava, spaventato, ma pensava. Era l’unica cosa che gli era rimasta. I sensi erano andati a farsi fottere, e lo sapeva. Muoversi era una pessima idea… Non sapeva dove fosse, o meglio, in che zona di quella città… Paese…
Merda! Questo posto è solo merda! Una fottutissima realtà parallela! Nulla è reale… Nulla…
Chiuse le iridi per qualche istante e cercò di concentrarsi di più sull’udito.
Nulla… Nulla di nulla… Un dolore lancinante alla spalla. Un taglio molto profondo lungo una ventina di centimetri.
Qui non conto un cazzo… Cazzo il braccio!
Una smorfia di dolore un sospiro sibilato a denti stretti. La vista, ammesso che quella fosse tale, stava annebbiandosi lentamente… Ma in maniera sempre più pronunciata.
Una luce fioca davanti a lui… Una piccola e tonda lanterna… Una luce verde… Un odore di vaniglia fin sopra le narici. Al cervello. Voci tutte intorno. Ruggiti. Ruggiti. Ruggiti!
- Zitti! –
Una voce e poi una piccola risatina.
- Zitta anche tu Fattona!!! Così morirà…-
Un’altra voce più bassa e dolce, ma con una lieve connotazione isterica e tremolante.
- Da’ Ià! Lasciatelo stare… Ora si riprende…-
Un’altra? Un’altra… Un accento stranissimo… Tutto questo stava iniziando a non avere più senso… Le voci. Il dolore. Che poi… Come era riuscito a provocarsi una ferita del genere?! Non ricordava e più si sforzava di farlo e più non riusciva a trovare conclusione… Non è che non ricordasse poi. Ricordava, ma cose che non avevano senso. Lui che camminava mano per la mano ad un polipo verde, felice… Un attimo dopo, ricordava di aver mangiato un palloncino rosso. Era stato un pesce con degli artigli, e subito dopo nella bocca di un elefante in mezzo ad una enorme quantità di paglia mischiata a vomito… Era stato ingoiato ma quello non sembrava lo stomaco di un elefante, tutt’altro, anzi. Un salotto caldo di una casa… Una caffettiera gli aveva chiesto se volesse del caffè… Lui aveva detto di sì, spaventato. Allora la caffettiera aveva iniziato a versare il proprio contenuto, del caffè vero e proprio in una tazzina che intanto gli era comparsa in mano… Mentre lo faceva aveva iniziato a gridare per poi cadere per terra inanimata… Aveva finito per gettarsi il caffè sulle scarpe nuove. Nuove? Come faceva a saperlo! Erano delle scarpe! Punto! Aveva osservato quell’essere che prima, qualche secondo prima gli aveva offerto da bere, ora morto… Se così si potesse dire di un oggetto senza vita. Lì per terra… Ne aveva aperto il coperchio ed era stato catapultato in un universo completamente diverso. Era in un ufficio… Nell’uffico di uno scrivano… Lo studio si chiamava Melville… Lo studio si chiamava Melville? Ma se era già dentro! Come faceva a sapere si chiamasse proprio Melville?! Mah… Lo sapeva e basta! Punto! Ma ora era tornato alla realtà… Aveva visto per un istante la porta d’ingresso di una libreria. Grande… Bella… Calda… SOGNAL… Era riuscito a leggere solamente ma poi l’immagine era subito cambiata… All’istante… Come migliaia di fotogrammi diversi. Ma ora l’allucinazione pareva costante. Era tutto buio… Buio e solo buio… Perché? Cosa significava tutto quello?! Era diventato pazzo? Ricordava solo una cosa…Ecco! Urlò nella sua mente.
Un rumore di chiavi… Un tintinnio lontano. Le voci si zittiscono e di nuovo ricompare quella libreria enorme davanti.
Un uomo non molto alto… Un pizzetto davvero singolare…Un essere rachitico e con le gambe avvizzite…
- A lavoro! Tornate a lavoro! E’ arrivato un nuovo cliente! Silenzio!-
Rumore di passi che corrono via per poi smettere.
- Dai sta buono…-
Le chiavi vengono zittite…
Una grande… Anzi, enorme donna dai capelli lunghissimi… Fino ad arrivare ad i suoi piedi. Biondissimi e riccissimi. Degli occhi azzurri, spettacolari.
Pelle chiarissima e gote un po’ più rosee. Osserva il ragazzo sorridendo. Era vestita di un grande lanone grezzo blu, quasi nero, con una grande M stampata all’altezza del cuore… La stessa S dell’insegna fuori… Sognal… Sognal… Non riusciva proprio a ricordare, anche sforzandosi.
Diventa tutto buio intorno… Tutto scompare… Tutto tace.
Stop cerebrale.



Luci lontane lo svegliarono. Saranno state all’incirca le undici del mattino. Alquanto tardi rispetto al suo standard. Era indolenzito e ancora stanco. La vista ci mise un po’ ad abituarsi, ma poi mise a fuoco ciò che avesse intorno. Librerie su tutti i muri, piene di libri suddivisi per categoria, genere, ordine alfabetico… Un buon caldo. Una buona illuminazione interna. Un odore di libri non indifferente. Dei passi… C’era del parquet per terra… Non lo aveva visto ma dai passi poteva ben distinguere il materiale della pavimentazione.
- Si è svegliato…-
Una voce nella quale riconobbe quella isterica ma dolce, poi spostò lo sguardo sulla ragazza. Era solita grattarsi una spalla con una mano, era timida ma faceva di tutto per non lasciarlo vedere. Dei capelli neri, un piccolo caschetto… Anche lei aveva un maglione enorme di lana blu… Ma a maniche corte… Dei bracciali variopinti le cascavano dal gomito ai polsi facendo rumore ad ogni movimento. Aveva dei bei occhi ed un nasino particolare… Non grosso ma molto tondo. Era bassa, anzi, piccolina… Dallo sguardo dolce ma leggermente isterica nei movimenti.
Strofinò gli occhi e la mise a fuoco perfettamente, rimase fermo per qualche istante… Poi qualcosa lo riportò alla realtà… Subito andò a toccarsi il braccio… Niente bende… Niente sangue… Nulla di nulla. Rimase stupito quando poi ricevette uno schiaffo dietro la nuca, bonario, senza forza.
Si voltò e vide un’altra ragazza… Piccolina… Anche se ci mise un po’ a capire di che sesso fosse. Aveva una pipa multicolore tra le labbra e ad ogni tiro delle bolle di sapone però fatte di fumo, di color rosa gomma da masticare, fuoriuscivano andando poi a svanire arrivate in alto… Come del vero e proprio fumo. Aveva i capelli corti… Tigrati ed un maglione di lana grezza Lunghissimo… Maniche e tutto… Gli cascava fin sotto i piedi ed aveva una fila di bottoni, verticale, a differenza degli altri… Aveva delle enormi orecchie a punta… Davvero davvero enormi… e… Davvero davvero a punta.
- Bentornato tra noi CARO! –
Si allontanò, e il giovane la seguì con lo sguardo… Aprì una porta dalla quale prese dei cartoni… Delle grandi scatole ripiegate di cartone… Gli si sedette poi di fianco ed iniziò a sgranocchiarli.
- Non mi va di gettarlo… Te ne va uno? –
Fece di no con la testa e la sua attenzione si spostò su un’altra figura in fondo… Era vicino ad un motore… Una macchina da scrivere a motore… Aveva di fianco una decina di pile di libri alte quanto lui.
- Ma Ià! Tutti a me sti libbbri?! Ma pecchè li devo sistemà tutt’io?-
Nessuno ci fece caso e la piccola folletta dalle orecchie lunghissime gli lanciò un pezzo di cartone intimandolo di smetterla di lamentarsi.
Si zittì subito… Diciamo… Continuò comunque a borbottare…
Era abbastanza alto, un po’ goffo… Una corporatura normale. Sarebbe stato identico ad un londinese se non fosse stato per la sua faccia…
Aveva la faccia al contrario… La bocca al posto della fronte e così via. Pochissimi capelli rasati, neri, chiazzati qua e là con del grigio.
- E’ nuovo tranquillo… Non lavora qui da molto… -
La nana con le orecchie a punta disse per tranquillizzarsi. Poi continuò a parlare.
- Comunque… Piacere. – Allungò la mano destra dopo aver ingoiato un altro pezzo di cartone.- Mi chiamo Luika… -
Il giovane stranito allungò la mano sollevandosi dal divano arancione su cui era stato disteso.
- John… Piacere mio…-
Luika sorrise e poi indicò la ragazza bassina e dolce, che come solito stava grattandosi la spalla destra.
- Lei è Anne… Lasciala perdere è pazza…-
Anne puntò i piedi per terra diventando subito rossa… Accortasi di ciò voltò subito la faccia nascondendola tra le mani. Luika rise ed anche sul volto di John si aprì un mezzo sorriso.
Poi si sentirono dei rumori di chiavi… Aprire una porta, di fianco a quella porta dove la folletta aveva preso quei grandi cartoni e che ora pareva avesse finito di mangiare, infatti aveva ricominciato a fumare e a ridere come un’ebete.
L’uomo con la faccia al contrario si spaventò e subito prese una pila di libri ed iniziò a sistemarli in alcuni scaffali freneticamente. Anne sorrise dolcemente, ed anche istericamente.
- Tranquillo Robb!- Disse con flemma incredibile Luika. – E’ solo Max! –
Un uomo non molto alto, con degli occhi piccolissimi uscì da quella porta con le chiavi appese al collo. Sorrise al resto della compagnia. John riuscì ad intravedere dentro quell’altra stanza… Radici enormi spuntavano ovunque, e dalle radici spuntavano innumerevoli ingranaggi rossi ed arrugginiti.
Aveva delle gambe magre e piccole, un addome tale e quale… La testa anche era piccola, ma era di una dolcezza e serenità unica… A guardarlo ci si sentiva meglio.
A differenza però di tutto il resto del corpo, le spalle, il petto e le braccia erano muscolosissime! Enormi, sproporzionate… Per questo la vestibilità del suo maglione era abbastanza particolare. Gli arrivava fin l’ombelico, ed era a collo alto… Strettissima, attillata sul resto del corpo.
E la solita S grande e rossa stampata sul cuore.
- Ciao Fanciullo…- Proferì Max andando verso la porta scorrevole d’ingresso. – Ci si vede domani alla stessa ora…-
L’uomo sparì, andando via. John lo seguì con lo sguardo e subito si alzò scattando verso la porta. Con gran forza la aprì, sentendosi inghiottito da un nero e denso nulla, rientrò.
- No! – Urlò Anne nascondendo poi il volto.
- Io ti consiglierei di non farlo… Non ora almeno…- Lo osserva silenziosa, sollevandosi e andando vicino ad una specie di bancone all’ingresso… Una specie di cassa, molto simile a quelle nei negozi di Londra. O meglio, dei negozi della città Alta…
- Abbiamo il permesso di andarcene solamente all’una e mezzo, e la sera… Alle otto e mezza. Quindi rimani qui, rilassati e goditi qualche libro, e se hai da chiedere chiedi pure, ma non ora… Devo scrivere una cosa… - Da un cassetto sotto la cassa, di metallo arrugginito, estrasse una piccola confezione bianca di tabacco. Posò la pipa. Prese poi delle cartine e dei filtri di spugna. Prese del tabacco ed iniziò a rollare… A farsi una sigaretta.
John si toccò le tasche dell’impermeabile… Erano vuote. Lo tolse e lo posò su di una ringhiera all’ingresso vicino la porta scorrevole.
- Merda! – Imprecò.
- Pst!- Un bisbiglio. Luika lo aveva chiamato. – Tieni!- Gli lanciò una sigaretta. – Carimen fa così con tutti i clienti… Gli deruba, diciamo, ma poi gli restituisce tutto… Gli piace solo vedere cose nuove tranquillo. –
- Grazie…- Sussurrò John, prendendo la sigaretta al volo. Portandola alla bocca si diresse verso Robb. Gli diede una pacca sulla spalla e facendo segno di volere d’accendere non fece neanche in tempo a parlare che quelli si voltò spaventato andando a sistemare dei libri dalla parte opposta della libreria.
- Mah…-
Sbuffò e i suoi occhi si portarono su Anne che piccola piccola stava guardandosi i piedi, grattandosi come al solito la spalla.
La ragazza sollevò lo sguardo e spaventata stava per andarsene quando John la rassicurò.
- Calma! Calma… Voglio solo un accendino… Se non è chiedere troppo…-  Il ragazzo posò una mano sulla spalla della ragazza che divenuta rossa prese subito fuoco.
Rimase subito stranito ma dopo pochi secondi si sporse con la sigaretta e la accese.
- Non era quello che cercavo… Però… -
John si sedette per terra mentre Luika, vedendo tutta la scena sorrise più volte. Non si preoccupò della fiamma umana al suo fianco ed iniziò a riflettere su cosa fosse successo… Cosa significasse e perché… Non riuscì a trovare risposta, e, del resto, l’idea di trovarne lì sarebbe stata davvero ardua e dura. Qualcosa gli diceva di dover trovare la signora enorme… Che non sapesse perché gli veniva di chiamarla Nonna… Pareva legato a lei, ma pensava fosse qualche strano incantesimo di Warlied. Ammesso che quella fosse Warlied. In effetti non sapeva nulla. Come ci fosse arrivato, nulla. Sapeva che la città di Warlied era nei pressi dell’irlanda del Sud, ma nessuna mappa riportava l’ubicazione precisa. Non ricordava neanche con chi avesse traversato il mare… Rimaneva lì… Convinto di dover cercare la donna dai lunghi capelli ricci d’oro.
Ad un tratto i suoi pensieri furono interrotti da una mano posata sulla sua spalla.
Era Anne che gli stava sorridendo bonariamente.
- Vuoi… Leggere qualche libro nel frattempo? – Una voce bassa e timida, molto invitante, ma da metter i brividi, per il sottile isterismo che si riusciva a cogliere… Isterismo poi… Ansia… Una maschera… Aveva difficoltà a rapportarsi con le persone in maniera più intima che di un normalissimo ciao… Tutto qua.
John sollevò il capo sorridendole, e scosse la testa in segno di dissenso.
- Preferirei di no in questo momento… Ma puoi comunque aiutarmi se vuoi…-
Anne divenne rossa e il ragazzo la invitò a calmarsi.
- Dimmi…- Balbettò.
- Chi siete? Cioè… Cos’è questo posto? Tutti quei nomi… Non capisco più nulla… Una libreria poi? E come si chiama? Dove sono? – Un sospiro mentre gli occhi di Anne avevano un non so che di interessato e dolce allo stesso tempo.