VI.
Il rumore dell’acqua era fastidioso ed insistente.
Giorno e notte cadeva copiosa, come un assurdo ed instancabile cantare di
cicale estive. L’aria lì era pulita, nessuna traccia di vapore, né di
combustibili, né di motori, né…. Né di tecnologia europea.
Era un posto strano a sud dell’URSS asiatica,
circondata a modi castello da una fitta rete di montagne, altissime, a modi
recinzione. Alberi ovunque, ed una strana temperatura ricopriva l’aria. Il sole
era forte e picchiava ogni giorno di più, ma il freddo era pungente ed austero,
tipico per un ambiente di montagna. Una volta veniva chiamata Tibet quella
regione, me che Mark sapesse, quello non era più che un semplice nome, tra
tanti altri.
Grandi edifici, torri connesse da palazzine sottili ed
irregolari, parevano più rovine che altro. Tetti rossi e spioventi, perfetto
stile prima dinastia Tze Tung.
Camminava stanco su di uno scalone che passava sotto
la cascata, a sfidarla quasi. L’aria era fresca ed era primo pomeriggio quando
finalmente raggiunse la vetta. Dopo circa una mezz’ora aveva iniziato a contare
i gradini… Circa millesettantaquatro… Tralasciando quelli già scalati. Scalati,
certo. Erano irregolari e alti tra i venticinque ed i trentacinque centimetri.
Affannato la sua vista iniziava a mettere a fuoco
tutto ciò si trovasse davanti a lui e fu sorpreso dal trovare a pochi metri da
lui un uomo di media altezza, mezz’età, completamente calvo e con gli occhi a
mandorla. Aveva delle orecchie enormi e penzolanti, un sorriso stampato in
faccia, sereno ed un kimono ondeggiante dall’arancione al rosso.
Gli fece un inchino e Mark scosse la testa rimanendo
ad osservare.
Il monaco, almeno questo pareva, gli sorrise
nuovamente e senza dire una parola lo invitò a seguirlo.
Mark sbuffò, e si limitò a non parlare, pur soffrendo
per i morsi della fame e della sete. Stette zitto ed iniziò a camminare
tenendosi a distanza.
Arrivarono davanti ad un grande pesco in fiore, al
centro di una piccola piazza, faceva ombra a tutto ciò che vi fosse nel raggio
di settanta metri. Il monaco si fermò e gli indicò le radici dell’albero.
Il ragazzo scorse una strana figura a gambe
incrociate, gli occhi chiusi e sollevato da terra per un bel po’ di centimetri.
Si fermò a qualche metro ad osservarlo. Questi
sospirò.
- Mark… Da Londra, la lontana Europa ha mandato
nuovamente qualcuno qui… Mi fa piacere…-
Questo sibilò la figura, del resto molto anziana, con
lo stesso kimono del primo, stesse orecchie, e stessa lucentezza della testa…
Aveva però sei palline tatuate sulla fronte ed una lunghissima barba bianca,
talmente lunga da toccare il terreno con le punte.
Il ragazzo sgranò gli occhi e continuò ad osservarlo.
- So già perché sei qui… Prego dunque… Chiedi…-
Mark sospirò e l’unica cosa che seppe dire, affannato,
fu.
- Acqua…-
Il Bonzo aprì gli occhi e sorridendo posò i piedi per
terra. Gli sorrise e veloce cadde una pesca dall’albero. Di un rosa pallido,
con sfumature arancio. Arrivò precisa tra le mani del bonzo che lento la porse
al ragazzo.
- C’è più di quanto pensi in questo piccolo frutto…
Prego quindi…-
Mark scettico la afferrò e dopo averla annusata e
tastata più volte la addentò con velocità.
Si sorprese nel sentire quel dolce succo passargli
intorno alla lingua e giù per la gola, e si sorprese tanto, al punto da
guardare per minuti interi, stupito quella piccola pesca.
Dopo aver deglutito il primo boccone si sentì sazio e
stranito stava per chiedere all’altro che subito lo interruppe.
- Questi frutti crescono qui da ancor prima della
storia scritta… E non si tratta né di magia, né di tecnologia… Ma…-
Un sospiro, un attimo, a cambiar espressione.
- Ti sarà tutto chiaro… Ben presto…-
All’istante Mark fu circondato da una decina di
monaci, dei quali non aveva sentito nemmeno un passo… Erano diversi dagli altri
due. Portavano tutti i capelli lunghi e legati in lunghe trecce. Avevano dei
baffi ricurvi, molto simili ai baroni londinesi e tutti avevano delle strane
armi.
Mark fece cadere la pesca per terra.
Sussurrò qualcosa e quelli si scagliarono contro di
lui impugnando strette le loro armi.
Il londinese rimase in silenzio e strizzò gli occhi
velocemente.
Il suo corpo stava per essere trafitto da varie spade,
una freccia e delle lance, quando al momento dell’impatto riaprì gli occhi, e fu
curioso vedere quest’ennesimo Folk all’opera.
Il suo corpo divenne intangibile, dalle sfumature
verdi, e quasi si riusciva anche a guardargli attraverso.
I dieci si fermarono e si voltarono verso il vecchio
dalla lunga barba.
Questi sorrise, mentre Mark rimase impassibile ad
osservarlo.
- Bel trucco mio caro Folk… Ma ne ho visti di migliori
nei miei anni…-
Il vecchio si fece strada in mezzo a quelle guardie
dai capelli lunghi, spogliandosi del suo kimono e lasciandolo legato solo in
vita. Il suo corpo era rugoso come un vecchio albero, ma i muscoli, tutti erano
in tensione in una maniera spropositata.
Un enorme drago gli avvolgeva il corpo costellato da
vari ideogrammi risalenti ai vecchi ed antichi sutra.
- Io sono Wang Jinrei… Il Buddha di questo tempio, che
da anni protegge la cascata da voi contaminati europei…-
Veloce assunse la posizione di attacco tipica del Xingyiquan.
Mark lo guardò, ma non cambiò espressione e rimase fermo senza dire una parola,
senza muovere un muscolo, ancora intangibile. Lo attese, e Wang non si fece
attendere.
Subito scattò verso di lui caricando da terra il colpo
e scaricandolo in un pugno che andò a colpire Mark all’altezza dello sterno.
Il ragazzo indietreggiò. Pur non avendolo colpito…
Anche se il pugno lo aveva superato… Una vibrazione violenta gli arrivò
scontrandosi tra le sue tempie. Tossì e si accorse stranito del fatto che aveva
iniziato a sputare sangue.
Il suo corpo allora tornò tangibile, ma la sua
espressione non cambiò e osservò il vecchio sorridere e ritornare nella stessa
posizione di prima.
- L’arte del sutra va oltre la vostra chiave e ben
oltre la vostra Steam800… Non potete nulla contro noi Damo! –
Mark leggero ritornò ritto e sospirò leggero.
Si avvicinò al vecchio Wang e prima che lui potesse
attaccare gli sfiorò leggermente il corpo con l’indice. Il vecchio scattò e lo
colpì con un colpo chiamato San Yi Quan… Il pugno delle tre armonie.
Il ragazzo fu scaraventato lontano, ma pronto si
risollevò incredulo agli occhi del bonzo che quasi stanco ritornò nella
posizione di prima.
Strizzò gli occhi ed il suo corpo ritornò intangibile
con le stesse sfumature di prima.
- Non ti servirà a…-
Prima che il vecchio potesse finire il corpo
dell’altro aveva cambiato forma ed era divenuto una copia identica di Wang.
Il monaco sgranò gli occhi e il secondo Wang,
impassibile e sicuro si avvicinò. Stessa posizione dell’altro. Era come
guardare un incontro allo specchio.
Il Damo iniziò a titubare, e lo si poteva notare dalla
sua respirazione irregolare. Arrivò preciso e veloce un Tae mae O da parte del
londinese, un colpo a mani aperte mirato al torace dell’altro, tipico del kenpo
cinese.
Wang non fu in grado di reagire e indietreggiò di
alcuni passi.
I suoi allievi fecero per scattare in avanti, ma il
maestro li fermò ritornando in posizione di guardia e poi in posizione di
saluto.
Mark riprese la forma di prima e sospirò.
- Non sono di Londra Maestro Wang… Sono di Damopula… -
Tutti sgranarono gli occhi.
- Il mio nome è Mark Sawayama… -
Fece un inchino calmo e lento al quale tutti gli altri
si inginocchiarono.
- Sono qui per chiedervi della Steam800…-
Quella parola si spense nel copioso rumore di cascate
alle spalle del tempio.
Wang sospirò sorridendo.





