Il Blog a misura d'uomo... Ecco il vostro angolo di sfogo artistico! Scrittori, disegnatori, fotografi, musicisti in erba e non!? Ecco! Io vi offro una casa!

lunedì 26 settembre 2011

Steam800 VI.




VI.


Il rumore dell’acqua era fastidioso ed insistente. Giorno e notte cadeva copiosa, come un assurdo ed instancabile cantare di cicale estive. L’aria lì era pulita, nessuna traccia di vapore, né di combustibili, né di motori, né…. Né di tecnologia europea.
Era un posto strano a sud dell’URSS asiatica, circondata a modi castello da una fitta rete di montagne, altissime, a modi recinzione. Alberi ovunque, ed una strana temperatura ricopriva l’aria. Il sole era forte e picchiava ogni giorno di più, ma il freddo era pungente ed austero, tipico per un ambiente di montagna. Una volta veniva chiamata Tibet quella regione, me che Mark sapesse, quello non era più che un semplice nome, tra tanti altri.
Grandi edifici, torri connesse da palazzine sottili ed irregolari, parevano più rovine che altro. Tetti rossi e spioventi, perfetto stile prima dinastia Tze Tung.
Camminava stanco su di uno scalone che passava sotto la cascata, a sfidarla quasi. L’aria era fresca ed era primo pomeriggio quando finalmente raggiunse la vetta. Dopo circa una mezz’ora aveva iniziato a contare i gradini… Circa millesettantaquatro… Tralasciando quelli già scalati. Scalati, certo. Erano irregolari e alti tra i venticinque ed i trentacinque centimetri.
Affannato la sua vista iniziava a mettere a fuoco tutto ciò si trovasse davanti a lui e fu sorpreso dal trovare a pochi metri da lui un uomo di media altezza, mezz’età, completamente calvo e con gli occhi a mandorla. Aveva delle orecchie enormi e penzolanti, un sorriso stampato in faccia, sereno ed un kimono ondeggiante dall’arancione al rosso.
Gli fece un inchino e Mark scosse la testa rimanendo ad osservare.
Il monaco, almeno questo pareva, gli sorrise nuovamente e senza dire una parola lo invitò a seguirlo.
Mark sbuffò, e si limitò a non parlare, pur soffrendo per i morsi della fame e della sete. Stette zitto ed iniziò a camminare tenendosi a distanza.
Arrivarono davanti ad un grande pesco in fiore, al centro di una piccola piazza, faceva ombra a tutto ciò che vi fosse nel raggio di settanta metri. Il monaco si fermò e gli indicò le radici dell’albero.
Il ragazzo scorse una strana figura a gambe incrociate, gli occhi chiusi e sollevato da terra per un bel po’ di centimetri.
Si fermò a qualche metro ad osservarlo. Questi sospirò.
- Mark… Da Londra, la lontana Europa ha mandato nuovamente qualcuno qui… Mi fa piacere…-
Questo sibilò la figura, del resto molto anziana, con lo stesso kimono del primo, stesse orecchie, e stessa lucentezza della testa… Aveva però sei palline tatuate sulla fronte ed una lunghissima barba bianca, talmente lunga da toccare il terreno con le punte.
Il ragazzo sgranò gli occhi e continuò ad osservarlo.
- So già perché sei qui… Prego dunque… Chiedi…-
Mark sospirò e l’unica cosa che seppe dire, affannato, fu.
- Acqua…-
Il Bonzo aprì gli occhi e sorridendo posò i piedi per terra. Gli sorrise e veloce cadde una pesca dall’albero. Di un rosa pallido, con sfumature arancio. Arrivò precisa tra le mani del bonzo che lento la porse al ragazzo.
- C’è più di quanto pensi in questo piccolo frutto… Prego quindi…-
Mark scettico la afferrò e dopo averla annusata e tastata più volte la addentò con velocità.
Si sorprese nel sentire quel dolce succo passargli intorno alla lingua e giù per la gola, e si sorprese tanto, al punto da guardare per minuti interi, stupito quella piccola pesca.
Dopo aver deglutito il primo boccone si sentì sazio e stranito stava per chiedere all’altro che subito lo interruppe.
- Questi frutti crescono qui da ancor prima della storia scritta… E non si tratta né di magia, né di tecnologia… Ma…-
Un sospiro, un attimo, a cambiar espressione.
- Ti sarà tutto chiaro… Ben presto…-
All’istante Mark fu circondato da una decina di monaci, dei quali non aveva sentito nemmeno un passo… Erano diversi dagli altri due. Portavano tutti i capelli lunghi e legati in lunghe trecce. Avevano dei baffi ricurvi, molto simili ai baroni londinesi e tutti avevano delle strane armi.
Mark fece cadere la pesca per terra.
Sussurrò qualcosa e quelli si scagliarono contro di lui impugnando strette le loro armi.
Il londinese rimase in silenzio e strizzò gli occhi velocemente.
Il suo corpo stava per essere trafitto da varie spade, una freccia e delle lance, quando al momento dell’impatto riaprì gli occhi, e fu curioso vedere quest’ennesimo Folk all’opera.
Il suo corpo divenne intangibile, dalle sfumature verdi, e quasi si riusciva anche a guardargli attraverso.
I dieci si fermarono e si voltarono verso il vecchio dalla lunga barba.
Questi sorrise, mentre Mark rimase impassibile ad osservarlo.
- Bel trucco mio caro Folk… Ma ne ho visti di migliori nei miei anni…-
Il vecchio si fece strada in mezzo a quelle guardie dai capelli lunghi, spogliandosi del suo kimono e lasciandolo legato solo in vita. Il suo corpo era rugoso come un vecchio albero, ma i muscoli, tutti erano in tensione in una maniera spropositata.
Un enorme drago gli avvolgeva il corpo costellato da vari ideogrammi risalenti ai vecchi ed antichi sutra.
- Io sono Wang Jinrei… Il Buddha di questo tempio, che da anni protegge la cascata da voi contaminati europei…-
Veloce assunse la posizione di attacco tipica del Xingyiquan. Mark lo guardò, ma non cambiò espressione e rimase fermo senza dire una parola, senza muovere un muscolo, ancora intangibile. Lo attese, e Wang non si fece attendere.
Subito scattò verso di lui caricando da terra il colpo e scaricandolo in un pugno che andò a colpire Mark all’altezza dello sterno.
Il ragazzo indietreggiò. Pur non avendolo colpito… Anche se il pugno lo aveva superato… Una vibrazione violenta gli arrivò scontrandosi tra le sue tempie. Tossì e si accorse stranito del fatto che aveva iniziato a sputare sangue.
Il suo corpo allora tornò tangibile, ma la sua espressione non cambiò e osservò il vecchio sorridere e ritornare nella stessa posizione di prima.
- L’arte del sutra va oltre la vostra chiave e ben oltre la vostra Steam800… Non potete nulla contro noi Damo! –
Mark leggero ritornò ritto e sospirò leggero.
Si avvicinò al vecchio Wang e prima che lui potesse attaccare gli sfiorò leggermente il corpo con l’indice. Il vecchio scattò e lo colpì con un colpo chiamato San Yi Quan… Il pugno delle tre armonie.
Il ragazzo fu scaraventato lontano, ma pronto si risollevò incredulo agli occhi del bonzo che quasi stanco ritornò nella posizione di prima.
Strizzò gli occhi ed il suo corpo ritornò intangibile con le stesse sfumature di prima.
- Non ti servirà a…-
Prima che il vecchio potesse finire il corpo dell’altro aveva cambiato forma ed era divenuto una copia identica di Wang.
Il monaco sgranò gli occhi e il secondo Wang, impassibile e sicuro si avvicinò. Stessa posizione dell’altro. Era come guardare un incontro allo specchio.
Il Damo iniziò a titubare, e lo si poteva notare dalla sua respirazione irregolare. Arrivò preciso e veloce un Tae mae O da parte del londinese, un colpo a mani aperte mirato al torace dell’altro, tipico del kenpo cinese.
Wang non fu in grado di reagire e indietreggiò di alcuni passi.
I suoi allievi fecero per scattare in avanti, ma il maestro li fermò ritornando in posizione di guardia e poi in posizione di saluto.
Mark riprese la forma di prima e sospirò.
- Non sono di Londra Maestro Wang… Sono di Damopula… -
Tutti sgranarono gli occhi.
- Il mio nome è Mark Sawayama… -
Fece un inchino calmo e lento al quale tutti gli altri si inginocchiarono.
- Sono qui per chiedervi della Steam800…-
Quella parola si spense nel copioso rumore di cascate alle spalle del tempio.
Wang sospirò sorridendo.

giovedì 22 settembre 2011

Il Muro di Pisa




Il murale di Pisa (1989)
L'idea di realizzare un murale a Pisa nasce in modo casuale a seguito dell'incontro per strada a New York tra Haring e un giovane studente pisano. Il tema è quello dell'armonia e della pace nel mondo, visibile attraverso i collegamenti e gli incastri tra le 30 figure che, come in un puzzle, popolano i centottanta metri quadrati della parete del Convento di Sant'Antonio.
Ogni personaggio rappresenta un diverso "aspetto" del mondo in pace: le forbici "umanizzate" sono l'immagine della collaborazione concreta tra gli uomini per sconfiggere il serpente, cioè il male, che stava già mangiando la testa della figura accanto, la donna con in braccio il bambino rimanda all'idea della maternità, i due uomini che sorreggono il delfino al rapporto con la natura. Sceglie colori dalle tonalità sottili, che attenuano la violenza cromatica che lo aveva da sempre contraddistinto, recuperando in parte i colori dei palazzi pisani e della città nel suo complesso, per rendere l'opera compatibile con il contesto socio ambientale dove è collocata. é l'unica opera di Haring che viene concepita sin dall'inizio come "permanente", non effimera e destinata a scomparire nell'uso o nella serialità della comunicazione di massa, infatti impiega più tempo ad eseguirla: una settimana, rispetto all'unico giorno con cui era abituato a realizzare gli altri murales.

Il primo giorno disegna da solo la linea di contorno nera, senza bozzetto preparatorio, poi nei restanti giorni, aiutato da degli studenti e dagli artigiani della Caparol Center, che ha fornito le vernici scegliendo delle tempere acriliche che potessero mantenere intatta la qualità dei colori per molto tempo, esegue la colorazione. Il murale ha insolitamente un titolo: "TUTTOMONDO", parola che riassume la sua costante ricerca di incontro e di identificazione con il pubblico, esemplificata in questo caso dal personaggio giallo che cammina, o che corre, posto al centro della composizione sullo stesso piano di un ipotetico passante. I trenta personaggi del murale hanno la vitalità e l'energia tipiche di Haring e del suo incessante fervore creativo che gli ha consentito di lasciare, pochi mesi prima della morte per Aids, un'opera che è prima di tutto, un inno alla vita.

Oscar Wilde -Dilemma sull'utilità dell'arte-







"L'artista è il creatore di cose belle.
Rivelare l'arte senza rivelare l'artista è il fine dell'arte. Chi può incarnare in una forma nuova, o in una materia diversa, le proprie sensazioni della bellezza, è un critico. Tanto la suprema quanto la infima forma di critica sono una specie di autobiografia. Coloro che scorgono cattive intenzioni nelle belle cose, sono corrotti, senza essere interessanti. Questo è un difetto. Quanti scorgono buone intenzioni nelle belle cose sono spiriti raffinati. Per essi c'è speranza. Eletti son gli uomini ai quali le belle cose richiamano soltanto la bellezza. Non esistono libri morali o immorali come la maggioranza crede. I libri sono scritti bene, o scritti male. Questo è tutto. L'avversione del secolo diciannovesimo per il Realismo è la rabbia di Calibano che vede riflesso il proprio viso in uno specchio. L'antipatia del secolo diciannovesimo per il Romanticismo è la rabbia di Calibano che non riconosce il proprio viso in uno specchio. La vita morale dell'uomo è materia d'arte, ma la moralità artistica consiste nell'uso perfetto di un imperfetto strumento. Nessun artista aspira a provare alcunché. Perfino la verità può essere provata.
L'artista non ha preferenze etiche. Una preferenza di tal genere costituirebbe per un artista un manierismo stilistico imperdonabile. L'artista non è mai morboso. L'artista può esprimere tutto. Il pensiero e linguaggio sono per l'artista gli strumenti dell'arte. l vizio e la virtù sono per l'artista materia d'arte. Dal punto di vista formale l'arte suprema è quella del musicista. Dal punto di vista del pathos, tipico è il mestiere dell'attore. Ogni arte è nel tempo stesso realistica e simbolica.
Chi varca i limiti di tale apparenza lo fa a proprio rischio e pericolo. Chi intende il simbolo lo intende a suo rischio. L'arte in verità non rispecchia la vita, ma lo spettatore. Il contrasto delle opinioni suscitate da un'opera d'arte indica che l'opera è nuova, complessa, vitale. Quando i critici dissentono tra loro, l'artsta è d'accordo con se stesso. Possiamo indulgere verso un uomo che abbia fatto qualcosa di utile, purché non l'ammiri. Ma chi ha fatto una cosa inutile può essere scusato solo se egli lo ammira enormemente.
.."


Oscar Wilde conclude dicendo...

"Tutta l'arte è completamente inutile."

Ora riflettete su quanto realmente l'arte possa essere utile...


Mi venne da pensare un giorno una cosa. Parlavo con un ragazzo che per la seconda volta stava tentando il test d'ingresso alla facoltà di medicina e chirurgia, se non sbaglio di Siena, ad un certo punto gli chiesi, come chiedo sempre a gente molto materiale... Pensi che il lavoro di un medico sia più importante di quello dell'artista? Musicista, pittore, disegnatore, scrittore ecc... Questi, senza indugiare rispose di sì, senza dar spiegazioni e rimanendo sul... Dai non scherziamo! E' così... Smisi allora di battermi con lui, in quanto la reputavo una battaglia davvero inutile e lo lasciai con una semplice frase.
Tu come medico potrai anche curare la fisicità di una persona... Io come artista però curo le sue emozioni e lo miglioro a livello intellettivo e creativo...
Me ne andai.
Non voglio assolutamente però dire che uno dei due mestieri sia superiore all'altro, anzi, volevo solo portare quel ragazzo ad una riflessione oggettiva dell'utilità della materialità.
Il punto è proprio il suddetto. La materialità.
La società odierna è troppo portata a pensare per chematiche fisse, dove le scelte umane sono guidate dal profitto materiale e non spirituale, intellettivo, o creativo che sia. E ammetto anche a malincuore che la gente come me invece è troppo portata a pensare spiritualmente, intellettivamente e creativamente. Si potrebbero trovare errori in entrambe le scuole di pensiero eppure il punto è proprio qui. Nell'equilibrio c'è la virtù... Si potrebbe magari un giorno riuscire a trovare, e spero di non dover aspettare Il mondo dopo la fine del mondo, di Harkaway.

Il Mondo dopo la fine del Mondo -Nick Harkaway-







Questo esordio narrativo abbatte a spallate i confini tra i generi letterari: è al contempo una favola politica sull'assurdità della guerra, un'opera sarcastica di fantascienza sui pro e i contro dell'Apocalisse, un thriller imbottito di cospirazioni, guerrieri ninja e cani cannibali, un horror alla Lovecraft sul nostro futuro mica tanto remoto. La trama in soldoni: le Bombe Svuotanti hanno cancellato intere zone della realtà dalla faccia della terra. Un soldato senza nome e il suo eroico amicone Gonzo Lubitsch devono affrontare l'inimmaginabile minaccia che viene dall'esterno della Zona Abitabile: un assortimento da incubo di mutanti e mutazioni. Non contenti di avere fra le mani il destino dell'umanità, i due finiscono per trovarsi coinvolti in un triangolo amoroso potenzialmente catastrofico. Accompagnati da una ciurma di guerrieri male assortita e rotta a ogni esperienza, i nostri eroi riusciranno a salvare questo caoticissimo mondo postapocalittico? E soprattutto: ne vale la pena? Salutata dalla stampa internazionale come un'opera esilarante e profonda, erede di Comma 22 e del miglior Kurt Vonnegut, questa avventurosa odissea comica in 3D dotata di effetti sonori speciali, rappresenta l'irruzione sulla scena letteraria mondiale di un autore pieno di un talento. 


                     " Le luci al bar Senzanome si spensero poco dopo le nove. Io ero chino sul tavolo da biliardo con una mano sulla chiazza liscia dietro l'area D, che a detta di Flynn il Barista era una macchia di birra, ma aveva la stessa forma e le stesse dimensioni del culo di sua moglie: a tutto baglio e sagomato come la sezione trasversale di una mela. [...] Mi appoggiai con tutto il peso sull'impronta del didietro della moglie di Flynn il Barista e feci comunque il mio tiro. Il pallino corse sul feltro con un sussurro, rimbalzò su due sponde e mandò in buca la otto. Doff, doff, tic... glonk. Perfetto. Peccato però che volessi colpire la sei..."


"Esilarante, scandaloso e profondissimo..." Questo è ciò che dice THE INDIPENDENT, quotidiano britannico pubblicato dal 1986, ma se ne potrebbero aggiungere altri ed altri ancora di epiteti senza mai sbagliare. E' pura follia, calcolata però al dettaglio da uno scrittore che al suo esordio sembra abbattere le barriere di pensiero comuni della satira e dell'umorismo. Un mix imperdibile di stranezze, descritte con una tale serietà da sembrare agli occhi del lettore assolutamente ed imprenscindibilmente così vivide e reali. E' questo Il mondo dopo la fine del mondo, uno strano caso di un acerrimo capolavoro assolutamente nemico dell'odierna società.

Cecità -Josè Saramago-







In una città mai nominata, un automobilista fermo al semaforo si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. La sua malattia, però, è peculiare: infatti egli vede tutto bianco. Tornato a casa con l'aiuto di un altro uomo (che ben presto si rivelerà un ladro) racconta l'accaduto a sua moglie. I due si recano da un medico specialista, dove trovano un vecchio con una benda nera su un occhio, un ragazzino che sembrava strabico, accompagnato da una donna e una ragazza dagli occhiali scuri.

Il medico, dopo aver esaminato l'uomo (che, nel seguito della storia, sarà chiamato il primo cieco), si accorge di non avere spiegazioni per quella improvvisa cecità. Ben presto, però, la cecità comincia a diffondersi. Il ladro di automobili, il medico, la moglie del primo cieco, sono tutti colpiti dalla strana malattia. La moglie del medico sembra l'unica a non essere contagiata. L'epidemia si diffonde in tutta la città e il governo del paese decide, provvisoriamente, di rinchiudere i gruppi di ciechi in vari edifici, allo scopo di evitare il contagio. Ogni giorno le guardie avrebbero fornito il cibo agli internati.

« Fra i ciechi c'era una donna che dava l'impressione di trovarsi contemporaneamente dappertutto, aiutando a caricare, comportandosi come se guidasse gli uomini, cosa evidentemente impossibile per una cieca, e più di una volta, o per caso o di proposito, si girò verso l'ala dei contagiati »
Il medico, la moglie del medico (l'unica dotata della vista), il primo cieco e sua moglie, la ragazza dagli occhiali scuri, il ladro di automobili e il ragazzino strabico si ritrovano tutti nello stesso edificio, un ex manicomio. Inizialmente, la distribuzione degli alimenti avviene regolarmente, ma ben presto i ciechi si ritrovano abbandonati, perché la cecità si diffonde anche tra i soldati e i politici, fino a colpire tutto il paese (tranne la moglie del medico). All'interno del manicomio, inoltre, un gruppo di ciechi (i "ciechi malvagi") si impossessa di tutte le razioni di cibo provenienti dall'esterno per poter ricattare gli altri malati e ottenere potere e altri vantaggi, compresi rapporti sessuali con le donne. Proprio durante uno di questi stupri collettivi, la moglie del medico uccide il capo dei "ciechi malvagi". Nel tentativo di rendere inoffensivi questi ultimi, un'altra donna dà fuoco ad un mucchio di coperte nella loro camerata, ma il fuoco si diffonde e finisce per avvolgere tutto l'edificio. Molti ciechi muoiono, ma una parte di loro (tra questi, il gruppo della moglie del medico), riesce a uscire all'aria aperta.
All'esterno dell'ex manicomio, la moglie del medico vedrà i risultati dell'epidemia. Morti per le strade, la città in totale abbandono, gruppi di ciechi che occupano le case altrui e lottano l'uno contro l'altro per assicurarsi del cibo. Mentre il gruppo della moglie del medico cerca di organizzare la vita del gruppo, tutti i ciechi guariscono inspiegabilmente, senza alcuna ragione apparente, proprio come all'inizio della vicenda era sopraggiunta l'epidemia.

martedì 20 settembre 2011

The Bard's Song



Ora conoscete tutti
I bardi e le loro canzoni
Quando le ore saranno passate
Chiuderò gli occhi
In un mondo lontano
Potremo incontrarci di nuovo
Ma ora ascoltate la mia canzone
Sull'alba della notte
Cantiamo la canzone del bardo.
Domani ci porterà via
Lontano da casa
Nessuno conoscerà il nostro nome
Ma le canzoni dei bardi resteranno
Domani porterà via
La paura di oggi
Sarà svanita
Grazie alle nostre magiche canzoni.
C'è solo una canzone
Ancora nella mia mente
Il racconto di un uomo coraggioso
Che viveva lontano da qui
Ora le canzoni dei bardi sono finite
Ed è tempo di andare
Nessuno dovrebbe chiedere il nome
Di colui
Che ha raccontato la storia.
Domani ci porterà via
Lontano da casa....

Pura poesia quando ci si ricorda di quando si era bambini e si sentivano storie su cavalieri, principesse, fate e folletti. Quante volte gli elfi hanno abitato le vostre menti? Quante volte avete pensato... Magari potessi vivere in una di quelle storie... Vivere intensamente la loro storia, le loro avventure e i loro amori. Ma alla fine sono solo leggende che rivivranno negli angoli più bui di quelle stanze chiamate... RICORDI...
Ma alla fine qualcosa possiamo fare... Io e voi. Lasciate libera la vostra mente e provate a volare via, lontano, scrivete una fiaba, qualsiasi cosa che almeno per una volta ci faccia sognare e scappar via da questo mondo che poco ne vuole sapere di quelle stupide storie per bambini...

lunedì 19 settembre 2011

Fiabe Ucroniche -Introduzione-





Non vi sarà poesia, non vi saranno fronzoli, e dove li troverete, beh non li riconoscerete, e se siete qui per giudicare chiudete e bruciate queste pagine. Noterete che l’odore non è lo stesso di un semplice pezzo di carta incenerito. E se volete far qualcosa come si deve, beh che abbiate un camino, il gesto risulterà plateale almeno. Non trovate? Beh io sì… E fiumi di parole, giudizi incomprensibili, applausi di cortesia. Beh il fine non è vendervi nulla. Non sarà un prodotto questo, non sarà un giocattolo né tanto meno il libro che avete sempre sognato di leggere, perché tale, infine non è. Ci sarà chi riderà e chi piangerà, ma in fin dei conti è tutto ininfluente. Il fine è un altro e solo pochi riusciranno a coglierlo, e ben di più mi fa piacere dire pochi quando quei pochi che immagino equivalgono ad un emblematico e aborrido nessuno. Aborrido poi? Dobbiamo molto alla parola. Si possono esprimere concetti di concretezza così blanda con parole affascinanti e suadenti e tutti reputerebbero migliore quella torta ripiena di budella di topo, solo perché ricoperta di panna. E se pur il concetto risultasse intrigante e profondo, allora lì l’equilibrio dovrebbe e verrebbe a bussare. Chi ama una torta ricoperta in quantità industriale di panna? Si preferisce sempre il ripieno del resto o sbaglio? Mah… Non so che dirvi ma vorrei farvi notare che il racconto non è ancora iniziato e avete già perso inutilmente dei minuti importanti, leggendovi queste quattro righe completamente senza senso.
Reputate davvero queste righe senza senso? Beh vi ripropongo l’invito. Gettate il libro, non fa per voi.
Molti personaggi verranno presentati, alcuni non avranno facce, altri saranno inutili ai fini della narrazione, ammesso che narrazione ci sia, altri ancora cercheranno di plagiarvi ed altri tenteranno di baciarvi. Diffidate da loro, nessuno è normale e la normalità non fa per loro. Se lo stomaco non vi regge più di tanto non andate avanti con la lettura, potrebbe causarvi delle lesioni cerebrali non indifferenti anche se, sono sicuro di questo, nessuno di voi ci capirà molto. Per molti sarà solo un elenco di passi e bozze slegate che non fanno riferimento a nulla e non finiscono con nulla. E ‘ perché si è tropo portati a pensare ad un qualcosa di sensorialmente percettibile. Spegnete un attimo tutte e cinque le vostre armi… Nulla vero? E’ qui che parte il gioco.
Tirate un dado… Non sempre si è fortunati.
Sei! Complimenti è il vostro giorno fortunato! Fidatevi dell’istinto e cercate, senza molta fatica di far scivolare veloci tutte quelle immagini che a breve, miei cari… Vi pioveranno addosso.
Buona Fortuna…
Stanotte è morto un sogno… Qualcuno sa… Qualcuno sa…